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Sahel, il rischio di un Nuovo Califfato… l’ombra Jihadista sull’Africa

Mentre tutti stanno parlando di Libia, c’è una profonda crisi terroristica in Sahel.
La crisi in Libia è al centro dell’attenzione diplomatica mondiale, ma in tal modo eclissa quella in atto nei Paesi confinanti del Sahel: questi sono ostaggio di una crescente instabilità, alimentata proprio dall’annoso conflitto libico, ma sul quale finora non hanno voce in capitolo. Eppure, i gruppi armati jihadisti attivi a sud del Sahara dal 2012 puntano a costruire un nuovo califfato, proprio alle porte della Libia e dell’Europa. Negli ultimi giorni è stato il presidente francese Emmanuel Macron ad evidenziare il collegamento tra i due scenari e l’urgenza di arginare la minaccia terroristica nel Sahel.
La scorsa settimana il ministro della Difesa francese, Florence Parly, è stata nel Sahel, accompagnata dai suoi omologhi di Portogallo, Svezia e Estonia, Paesi impegnati nella nascente forza Takuba – che in tamashek, la lingua dei Tuareg, significa “spada” – ovvero un raggruppamento di forze speciali europee che dovrebbe essere operativo in estate. La visita ha seguito di una settimana il vertice di Pau, in Francia, dove i governi di Parigi e del G5 Sahel (Mali, Niger, Burkina Faso, Ciad e Mauritania) hanno annunciato una serie di misure per recuperare il terreno sui gruppi armati, tra cui la creazione di una “coalizione per il Sahel”

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“Eurabia”: le città dove comandano gli islamici

Francia, Belgio, Gran Bretagna, Olanda, Germania, Svezia e Danimarca.  E’ l’atlante, sicuramente in difetto, della Jihad in Europa. Una rete che ha delle vere e proprie roccaforti: intere aree urbane disseminate in decine di città del vecchio continente.
Una rete di quartieri dove regna un misto tra il caos e la Shariya islamica: insomma mini-emirati da cui organizzare attentati in tutta Europa e offrire rifugio a terroristi ricercati.
In Europa ce ne sono tante di queste zone: da Malmo, in Svezia al distretto di Kolenkit di Amsterdam, per non parlare della miriadi di mini-califfati sorti nelle ‘banlieue’ in Francia e nel Londonistan. Quartieri dove i terroristi possono contare sulla protezione di legami familiari e dell’omertà se non la collaborazione di simpatizzanti della comunità islamica.
LONDONISTAN: l’hub del terrore nasce in Gran Bretagna, non a caso chiamata ‘Londonistan’. Una denominazione che va ben oltre la capitale per comprendere quartieri in quasi tutte le città del Regno Unito: da Liverpool e Manchester e Leeds, da Birmingham a Derby, e Bradford, oltre a Derby, Dewsbury, Leicester, Luton, Sheffield, per finire con Waltham Forest a nord di Londra e Tower Hamlets, nella parte orientale della capitale.
Quartieri dove spesso si trovano dei cartelli avvertono che “stai entrando in una zona controllata dalla sharia”

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Cresce in Europa il fenomeno delle Bande Armate Islamiche

di Lupo Glori

In un’Europa, sempre più invasa da flotte di immigrati e rifugiati politici di fede musulmana, fioriscono e si consolidano, ogni giorno di più, ghetti islamici e “no go zones”, vere e proprie aree territoriali autogestite, off-limits per la polizia, sotto il controllo di bande armate, sottratte al controllo dello Stato.

Uno dei paesi maggiormente colpiti da tale processo di islamizzazione è la Germania che, dopo aver preso atto della situazione, in maniera improvvisa e drammatica, la notte di Capodanno del 2015, quando, nel centro di Colonia, migliaia di uomini di origine “araba o nordafricana” molestarono ed aggredirono sessualmente più di 500 donne tedesche, oggi, giorno dopo giorno, sta sempre più aprendo gli occhi riguardo alla mancata…

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La sconfitta dei sauditi

HIllary Clinton con i sauditi

I sauditi hanno dilapidato miliardi e miliardi di dollari nel tentativo di allargare, tramite jihadismo, la loro area di influenza. Non solo perdono in Siria e in Iraq, ma hanno anche perso contatti con la Turchia e l’Egitto che guardano sempre più verso Mosca.
“Con il crollo del prezzo del petrolio la situazione interna in Arabia Saudita si è aggravata, l’ultima crisi nel settore costruzioni ha visto licenziare stranieri ma anche sauditi. Il “sistema Golfo”, che dal 1973 ha fatto perno su Riad, fungendo da motore economico del mondo sunnita, ha ora un problema di distribuzione della rendita, a cui è legata anche la retromarcia egiziana»…

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