La rivoluzione della verità: Marcello Foa alla guida della Rai

di LibreIdee
Che succederebbe, se diventasse presidente della Rai l’uomo che più di ogni altro, in Italia, ha denunciato le malefatte quotidiane degli “stregoni della notizia”? La nomina di Marcello Foa nel Cda di viale Mazzini, caldeggiata dalla Lega e appoggiata dai 5 Stelle, sarebbe semplicemente qualcosa di favoloso.
Gli “stregoni” ovviamente sono già al lavoro: da quelli de “L’Espresso”, querelato da Foa per aver insinuato che il giornalista possa aver avuto un misterioso ruolo nella presunta sparizione in Svizzera del “tesoro-fantasma” del Carroccio, all’Enrico Mentana che, a caldo, in prima serata al Tg de La7, ha presentato Foa – liberale, anticomunista e noto estimatore di Trump – come un intellettuale “non amico” degli Usa.
Un benvenuto a colpi di “fake news”, dunque, per il giornalista italiano, allievo di Indro Montanelli, che dal suo blog sul “Giornale” ha additato senza esitazioni le notizie false spacciate regolarmente per vere dai media mainstream a reti unificate. Notizie pesanti: dalle armi chimiche in Siria (mai usate da Assad contro i civili), alla foto straziante del bambino messicano in lacrime, presentato come profugo separato ferocemente dai genitori per colpa del perfino Trump, pur essendo invece solo un piccolo attore, impegnato in una drammatica performance di protesta in Texas. Marcello Foa alla guida della Rai? L’impossibile, che diventa possibile: qualcuno finalmente comincerà a dire che “il re è nudo”, e lo farà dagli studi del Tg1?…

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Missione suicida

di Piero Cammerinesi
Fare il giornalista (libero) oggi: missione suicida.
Un tempo ci furono giornalisti che – con le loro rivelazioni – fecero dimettere un presidente degli Stati Uniti. Non avvenne secoli fa: erano solo gli anni ’70, il 1974 per la precisione. Due giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, con la loro inchiesta inchiodarono Richard Nixon e lo costrinsero a dimettersi.
Oggi una storia del genere sembra risalire ad un’epoca geologica remota. Ma da quell’avvenimento il Potere ha tratto notevoli insegnamenti e ha messo in atto ogni misura per impedire che un evento del genere si possa ripetere…

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Giornalisti, propaganda e guerra mediatica… è ora che la gente sappia la Verità!

Propaganda mediatica

di John Pilger – traduzione di Cristina Bassi
Perché così tanto giornalismo si è arreso alla propaganda? Perché censura e distorsione sono diventate una pratica standard?
Perché la BBC è cosi spesso portavoce di un potere rapace? Perché il New York Times e il Washington Post ingannano i loro lettori? Perché ai giovani giornalisti non viene insegnato a comprendere le finalità dei media e a sfidare le affermazioni eclatanti e le basse intenzioni di una realtà fasulla?
E perché a loro non si insegna che l’essenza di gran parte di ciò che definiamo media mainstream non è informazione, ma potere?
Queste sono domande urgenti. Il mondo si trova di fronte all’eventualità di una grande guerra, forse addirittura nucleare, con gli Stati Uniti chiaramente determinati ad isolare e provocare la Russia e poi la Cina. Questa verità viene capovolta e messa sottosopra dai giornalisti, inclusi quelli che promossero le menzogne che portarono al bagno di sangue in Iraq, nel 2003…

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I decaloghi ai tempi del terrorismo e la pornografia dei media

Propaganda mediatica

di Antonio Cipriani
Seduto da sempre dalla parte del torto, dal momento che questa rubrica di fine settimana si chiama Polemos, e in qualche modo evoca il demone del conflitto, ho pensato di parlare dei media al tempo del terrorismo. Partendo dal buon senso smielato di un decalogo su come si fa informazione e che parte dal tasto dolente delle verifiche…
Girano in queste ore serissimi e apprezzatissimi decaloghi su come si fa giornalismo ai tempi del terrorismo. Manuali di stile che vanno per la maggiore e che partono tutti con la meravigliosa frase: “Ogni fatto che pubblicherete dovrà essere puntualmente verificato”. Puntualmente c’è sempre. Su verificato, sorrido.
Per prima cosa, penso che non sia necessario fare uno schemino in cui si parla di giornalismo ai tempi del terrorismo. Perché si potrebbe dire: in tempi di guerra? (E viene in mente Marc Bloch…) Ma poi io aggiungo: e in tempi di pace? O lungo le strade delle nostre città gentrificate nel silenzio, nell’epopea della distruzione culturale e sociale quotidiana, parlando di migranti, di lavoratori, dei nostri figli precari, della povertà, della privatizzazione feroce di ogni bene comune? In quei casi le verifiche servono? O basta ignorare i fenomeni per vivere sereni e contenti?…

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