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L’Islam tra propaganda e soft power: come vuole “espandersi” nel mondo

di Laura Cianciarelli
Negli ultimi vent’anni, il dibattito pubblico a livello internazionale si è focalizzato sul cosiddetto “islam radicale”, la corrente conservatrice che, attraverso interpretazioni letterali della sharia, invoca un ritorno ai fondamenti dell’islam, ritenuti autentici e infallibili.
A partire dalle Primavere arabe, le discussioni hanno riguardato anche l’islam politico. Il cambio di strategia dei gruppi islamisti è stato infatti evidente:  la Fratellanza musulmana in Egitto o Ennahda in Tunisia, ad esempio, hanno saputo utilizzare in modo sapiente la propaganda, riuscendo a trasformarsi da movimenti emarginati ad attori di primo piano nelle competizioni politiche ed elettorali.
In entrambi i casi, l’islam è visto come un’ideologia religiosa promossa da attori non statali che ambiscono a trasformare in senso “islamico” la società. Un aspetto molto meno analizzato nel dibattito pubblico è, invece, la strumentalizzazione che dell’islam viene fatta dai governi stessi dei Paesi arabi, in funzione di soft power

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Mohammad bin Salman getta la maschera

di Andrea Muratore
La morte brutale di Jamal Kashoggi, il giornalista dissidente saudita ucciso nel consolato di Riad a Istanbul, il 2 ottobre scorso, ha svelato al mondo il reale volto della presunta “rivoluzione” politica della monarchia wahabbita, incarnata dal giovane erede al trono, Mohammad bin Salman.
Osannato a lungo da media e politici occidentali per riforme “cosmetiche”, come l’apertura dei cinema e il permesso di guidare accordato alle cittadine donne, MBS è stato più volte corteggiato, coccolato e osannato da numerosi leader occidentali (da Donald Trump a Emmanuel Macron, passando per Theresa May) interessati a rafforzare la partnership con Riad, nel momento in cui l’Arabia Saudita, varando il piano di riforme economiche Vision 2030, appariva una risorsa fondamentale per futuri investimenti e accordi commerciali.
Protetto dalla doppia morale del “patto col diavolo”, per usare l’espressione resa celebre da Fulvio Scaglione, il regno wahabbita ha potuto continuare, nel frattempo, le sue linee politiche più detestabili: dalla repressione del dissenso (certificato da un aumento drastico delle condanne a morte) al perpetramento del violento conflitto yemenita, causa di una catastrofe umanitaria senza precedenti…

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Dov’è la casa del mio amico?

Iran paesaggio

“Dov’è la casa del mio amico?”
È la trama di un film del regista iraniano Abbas Kiarostami, un atto d’accusa contro l’educazione autoritaria e repressiva impartita da una società arcaica, a un’infanzia cui non è riconosciuto nemmeno il diritto di essere ascoltata.
Ahmad è un bambino che vive in uno sperduto paese dell’Iran. Il suo maestro è un inflessibile docente che mantiene la disciplina con eccessiva severità e che non ammette, soprattutto, errori e dimenticanze. Un giorno, a lezioni finite, Ahmad si accorge che il quaderno di un bambino spesso rimproverato dal maestro è finito per sbaglio nella sua cartella. Per evitargli l’ingiusta punizione, egli decide, allora, di riportarglielo…

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