L’Islam tra propaganda e soft power: come vuole “espandersi” nel mondo

di Laura Cianciarelli
Negli ultimi vent’anni, il dibattito pubblico a livello internazionale si è focalizzato sul cosiddetto “islam radicale”, la corrente conservatrice che, attraverso interpretazioni letterali della sharia, invoca un ritorno ai fondamenti dell’islam, ritenuti autentici e infallibili.
A partire dalle Primavere arabe, le discussioni hanno riguardato anche l’islam politico. Il cambio di strategia dei gruppi islamisti è stato infatti evidente:  la Fratellanza musulmana in Egitto o Ennahda in Tunisia, ad esempio, hanno saputo utilizzare in modo sapiente la propaganda, riuscendo a trasformarsi da movimenti emarginati ad attori di primo piano nelle competizioni politiche ed elettorali.
In entrambi i casi, l’islam è visto come un’ideologia religiosa promossa da attori non statali che ambiscono a trasformare in senso “islamico” la società. Un aspetto molto meno analizzato nel dibattito pubblico è, invece, la strumentalizzazione che dell’islam viene fatta dai governi stessi dei Paesi arabi, in funzione di soft power

Vai all’articolo