Sul Morire

di Jiddu Krishnamurti

Considerazioni sulla morte

“… per poter sperimentare la morte mentre siamo ancora vivi, dobbiamo abbandonare ogni sotterfugio mentale, ovvero, tutto ciò che c’impedisce un’esperienza diretta. Siamo plasmati dal passato, dalle abitudini, dalla tradizione, dagli schemi di vita; siamo invidia, gioia, angoscia, zelo, godimento; ognuno di noi è tutto questo, ovvero il processo di continuità… ognuno è attaccato alle proprie opinioni, al proprio modo di pensare ed ha paura che senza i suoi attaccamenti, non sarebbe nulla; allora s’identifica con la casa, la famiglia, il lavoro, gli ideali… ma quanti sono quelli capaci di porre fine a tale attaccamento e realizzare il distacco?

È necessario comprendere i processi del pensiero, poiché la comprensione di ciò che chiamiamo pensiero, è la cessazione del tempo… il pensiero, tramite un processo psicologico, crea il tempo; il tempo poi controlla e configura il nostro pensiero… Il senso di continuità è stato edificato dalla mente, quella mente che guida se stessa per mezzo di precisi schemi e che ha il potere di creare, ogni sorta di illusione; lasciarsi intrappolare da tutto ciò, mi sembra una scelta tanto inutile quanto priva di maturità..

…Non sappiamo neppure cos’è vivere, come potremo mai sapere cos’è la morte?

Vivere e morire potrebbero essere la stessa cosa e il fatto che le abbiamo separate, potrebbe essere fonte di grande sofferenza. Abbiamo separato la morte, trattandola come un evento che accadrà alla fine della vita, tuttavia è sempre presente… Avendo paura di quella cosa che chiamiamo morte, l’abbiamo separata dalla vita, relegandole entrambe in compartimenti stagni, separati l’una dall’altra da spazi immensi… Una mente imprigionata in tale processo non riuscirà mai a comprendere, e comprendere è libertà, ma tra noi sono ben pochi coloro che vogliono essere liberi… lasciamo che l’oceano della vita e della morte, sia così com’è…

L’io che ha goduto, sofferto e conosciuto, potrà quindi continuare? L’io esiste solo a causa dell’identificazione con la proprietà, con un nome, una famiglia, con successi e fallimenti, con tutto ciò che siamo stati e vogliamo essere. Siamo ciò con cui ci siamo identificati: è di questo che siamo fatti, e senza di questo ‘non siamo’. Vogliamo che tale identificazione con le cosa e le idee non abbia fine, persino dopo la morte; ma si tratta davvero di qualcosa di vivo? Oppure non è nient’altro che una massa di desideri contraddittori, di progetti, di successi, di frustrazioni, un groviglio in cui il dolore supera la gioia?

Meglio il conosciuto che il non conosciuto, vero?

Eppure il conosciuto è talmente piccolo, insignificante, limitante; il conosciuto è dolore, eppure si desidera che continui… Ci affanniamo molto per sapere, quando cessa ogni tentativo di sapere, c’è ancora qualcosa che la mente non è riuscita ad afferrare e a far quadrare. Il non conosciuto è infinitamente più grande del conosciuto: il conosciuto non è che un’imbarcazione in mezzo al mare del non conosciuto… Lasciamo dunque che tutto scorra naturalmente… la verità è assai strana: più la inseguiamo più ci sfugge. Non possiamo afferrarla in nessun modo, per efficace e astuto che sia il nostro pensiero, non possiamo imprigionarla nella sua rete.

Comprendetelo a fondo e lasciate andare tutto. Nel cammino della vita e della morte dobbiamo camminare da soli; è un viaggio durante il quale conoscenza, esperienza e memoria non possono offrire alcun conforto. La mente deve essere ripulita da tutto ciò che ha afferrato nel suo bisogno di trovare certezze; i suoi dèi e le sue virtù devono essere restituiti alle società che li hanno generati. Occorre raggiungere una solitudine completa e incontaminata…”

Frammenti liberamente estrapolati da: “On living and dying” di Jiddu Krishnamurti 

Fonte: http://www.rosacroceoggi.org/sul.morire.htm

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