Le “Lofoten”… isole di un altro Mondo

di Gabriele Bordogna

Le Lofoten. Vedendole spuntare all’orizzonte, arrivando sul traghetto da Bodø, sembrerebbero il nascondiglio perfetto per banchi di mostri marini e insediamenti di vichinghi.

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Se ci fossero arrivati i romani, sulle mappe avrebbero scritto “Hic sunt dracones”, con un bel disegno di un mostro accanto. Cime acuminate che nascono direttamente dal mare, sfumate dalle nuvole e impolverate dalla luce artica, valli ombrose incastonate tra i precipizi e tratti di pianura improvvisa, come lingue di terra scampate alla furia, che a volte si scatena in quei tratti di mare.

Le Lofoten, un arcipelago norvegese oltre il Circolo Polare Artico, che si dispone ad arco tra il Mar Glaciale Artico e il Mare di Barents, al largo di Bodø, e che si riunisce alla terraferma tramite ponti-istmi poco a sud di Tromsø, hanno conquistato l’immaginario di artisti e scrittori fin dai viaggi sette e ottocenteschi, identificandosi perfettamente come uno di quei luoghi in cui avvertire il senso del sublime e la potenza devastatrice della Natura.

Il pittore norvegese Christian Krohg descrisse con queste parole il suo primo avvistamento delle Lofoten: “la purezza più pura, la freddezza più fredda, la virtù più virtuosa, ciò che di più elevato si possa concepire, altari al dio della solitudine e alla divina inviolatezza della castità. Difficile – difficile dipingerlo! Rendere l’eccellenza, la grandezza, la pace inesorabile e spietata, e l’indifferenza della natura”.

Ma gli elementi quasi oltremondani di queste isole hanno scomodato anche penne più celebri: è il caso di Edgar Allan Poe, che si ispirò al Maesltrom (Moskstraumen in norvegese), che si forma nei pressi dell’isola di Mosken, per descrivere il gorgo nel suo racconto “Una discesa nel Maelstrom”. Elemento che riprenderà anche Jules Verne, per far scomparire il Nautilus negli abissi in “Ventimila Leghe sotto i Mari”.

Purtroppo quelle Lofoten, quelle isole aspre e desolate, si possono attraversare solo a bordo di un libro o di un quadro: ad oggi, soprattutto in estate, l’arcipelago è invaso dai turisti. Per riuscire a cogliere quella scintilla ancestrale che ha colpito Poe, per vedere gli “altari al dio della solitudine”, bisogna armarsi di voglia di camminare e di esplorare.

Le isole sono attraversate dalla E10, una strada che arriva fino all’estremità meridionale dell’arcipelago, e da capillari di altre stradine che permettono di raggiungere pressoché tutte le insenature e i golfi abitati. In automobile o in bicicletta è opportuno attraversarle, per avere un’idea generale dei panorami surreali che si palesano costantemente agli occhi dei visitatori. Ma alla prima occasione la cosa migliore da fare è prendere e salire su per i sentieri.

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Il modo più comodo di raggiungere le Lofoten è con il traghetto che parte da Bodø e attracca a Moskenes, o per mezzo dell’iconico “battello postale Hurtigruten”, che arriva più a nord, a Svolvær, la città principale. Se la “capitale” delle Lofoten è un buon punto d’appoggio per le escursioni in barca – per pescare o per avvistare le balene, per esempio – e per assaggiare i migliori ristoranti di specialità di pesce delle isole, Moskenes è un punto di partenza migliore per scoprire il lato più autentico delle Lofoten.

Queste isole hanno un legame antichissimo con la pesca, soprattutto con la pesca del merluzzo. Gran parte dei villaggi sono centri ancora attivi che hanno conservato perfettamente le tecniche e l’aspetto della tradizione. Nei periodi in cui i merluzzi riempiono le correnti vicine alle Lofoten, i paesi affacciati sul mare si riempiono di stoccafissi legati a strutture piramidali in legno. Le viuzze sono letteralmente invase da muri di pesci lasciati ad essiccare, talvolta interi promontori ne sono coperti tanto che da lontano sembrano schiere di innumerevoli panni stesi. Puzzano, ma si possono gustare nella zuppa tipica del luogo: il Bacalao, un piatto quasi mediterraneo (perché di origine portoghese) che somiglia a un cacciucco.

Arrivando a Moskenes e muovendosi in auto si può raggiungere il villaggio più tipico, dal complesso e articolato nome: Å (foto sotto). Questo agglomerato di case incentrato sul turismo e sulla pesca si trova verso la punta meridionale dell’arcipelago ed è composto da un tessuto di pontili che collegano le tradizionali palafitte color rosso acceso. Å è anche una meta molto gettonata dalle comitive di turisti, quindi è bene passarci di mattina presto o al tramonto: due momenti in cui la luce delle Lofoten gioca con l’acqua calma del golfo, producendo il luccichio chiamato Transtilla, un forte bagliore che rende la superficie marina quasi cromata. Un effetto che può sembrare niente di eccezionale ma che contraddistingue i panorami dei mari del nord.

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Mettersi seduti a guardare il mare che accoglie o lascia salire il sole, al termine del pontile proteso verso la lontana costa norvegese in compagnia di una trentina di gabbiani, vi darà un primo assaggio di quella pace aspra, selvatica, dal sapore quasi primordiale che sanno dare certi paesaggi artici.  Un incanto che si nasconde in certe culture marinaresche, selvatiche, indomite, luoghi di mitopoiesi e di vicinanza con l’antico. Lo si avverte anche passeggiando per i moli di Å, di Reine o di Henningsvaer, sbirciando dentro le botteghe degli artigiani, intravedendo il mare tra le fila di stoccafissi essiccati.

Ma come ho già detto le Lofoten sono mare e sono montagna. Un vero e proprio must (se si ha un minimo di allenamento nelle gambe) è salire sul Reinebringen (prima foto in alto) tramite un irto sentiero che si arrampica sulla cima che cade a precipizio sul golfo di Reine. La salita dura circa un’ora e la vista è impagabile, si tratta probabilmente di uno dei panorami più belli del mondo, non ho paura a dirlo.

In basso: acqua turchese che si interrompe bruscamente in prossimità di piccole mezzelune di sabbia bianca disegnando coste sinuose, moli costellati di casette rosse; in alto: montagne lisce e pallide che nascono direttamente dal mare, quasi fossero costruzioni artificiali, sbucando da una bava di erba di un verde tanto acceso da sembrare finto. Il tutto ripetuto da un continuo susseguirsi di terra e mare, di golfo in golfo, tra promontori, ponti, lembi di sabbia e crode.

Un’altra escursione imperdibile porta da Svolvær ai cancelli del diavolo, il Djevelporten, un masso incastonato tra due pareti di roccia e sospeso nel vuoto su cui si può persino camminare. Meno accessibile ma proprio per questo ancora profondamente selvaggia, l’isola di Værøy è la più meridionale delle Lofoten, la più remota e la migliore per sentirsi alla fine della terra. Ma le possibilità sono davvero moltissime rispetto alla superficie relativamente ridotta di questo angolo di mondo.

In estate invece c’è la possibilità – l’obbligo secondo me – di godersi il lato caraibico di queste isole, facendo il bagno in una delle spiagge che ogni tanto spuntano ai piedi delle montagne, sono davvero tante, tutte contraddistinte dai colori turchesi delle acque, dalla sabbia bianchissima e dal verde dei pendii che si tuffano a picco sul mare ai lati. Le migliori sono Kvalvika (foto sotto), Ramberg, Uttlakeiv, Storsandnes. Dopo la fatica su per i sentieri, il freddino dell’acqua accompagnato dalla morbidezza della sabbia è un toccasana come ce ne sono pochi.

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Il fine giornata perfetto lo si passa osservando il perpetuo tramonto che lentamente si trasformerà in una lunghissima alba. Sei sia al mare che in montagna, il cielo è rosso da ore e la notte gioca col giorno in una danza tra nuvole, stelle e raggi di luce, che sanno tanto di pomeriggio quanto di mattina, non fa nemmeno così freddo, si sta bene, c’è silenzio: la bellezza alla fine è una piccola cosa.

Articolo di Gabriele Bordogna

Rivisto da Conoscenzealconfine.it

Fonte: https://www.salteditions.it/le-lofoten-isole-di-un-altro-mondo/

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