La Notte in Balia di Violenti e “Fomo”

di Marcello Veneziani

Ho conosciuto dal vivo l’inferno notturno della movida…

Ho conosciuto dal vivo l’inferno notturno della movida. Era passata la mezzanotte, ero a Roma, in Trastevere, mi stavo ritirando e sono stato travolto da un flusso umano o forse inumano.

Poteva finire come a Seul, tragicamente, o come le sere precedenti a Trastevere, con una maxi rissa di tutti contro tutti, senza un vero motivo. Mi sono trovato altre volte in queste fiumane notturne, ma l’ultima è stata peggio delle altre.

Ti sentivi privato della tua libertà, completamente trascinato dalla marea umana, in balia delle orde, costretto in minimi varchi come rigagnoli o colate di lava. Ti sentivi esposto al pericolo, inerme, privato della tua personalità, l’incolumità minacciata non da singoli ma da flussi e maree, reazioni a catena, effetti virali.

Qualcuno invoca le forze dell’ordine ma sarebbero sommerse e schiacciate, e poi cosa dovrebbero fare, caricare urbi et orbi? Occorrono divieti, accessi limitati, fasce orarie consentite, ma non è di ordine pubblico e schiamazzi notturni che voglio parlare. Bensì di quell’umanità compressa e alterata.

Ho provato a vedere in faccia i ragazzi che partecipavano a questa festa coatta, a captare qualche parola dei loro discorsi. La calca era tale che perfino la loro attività primaria era interdetta, nessuno aveva il telefonino in mano, non avrebbero potuto usarlo e nemmeno ascoltare ed essere capiti. Vivevano in diretta la realtà, brandivano un bicchiere o una bottiglia come tessera d’inclusione alla movida in corso.

Ho percepito due specie diverse di viventi in quella bolgia, una inoffensiva e l’altra, più ristretta, decisamente minacciosa, aggressiva. Questi ultimi sciamavano in branchi, avevano tatuaggi di setta, o erano vestiti allo stesso modo, non pochi erano palestrati; c’erano branchi biancovestiti e altri nerovestiti, come in una specie di gioco degli scacchi in formato bellicoso. Guerre da passeggio, senza movente. Appartenevano a contrade di non luoghi, periferie scontente e rancorose. Piovuti da chissà quale Scontentopoli sub-urbana.

Cercavano il pretesto per menare le mani, prendersela con qualcuno e ingaggiare una battaglia contro un nemico gratuito, improvvisato. Non c’erano più nemmeno le motivazioni conflittuali di un tempo: bande politiche rivali, gruppi estremisti o fondamentalisti o anche tifoserie avverse, campanilismi agguerriti, e nemmeno volontà di vendicare una ragazza molestata; no, c‘era una totale aggressività che si esercitava su obbiettivi casuali, scelti dal capo branco o dal “sommelier” del gruppo come bersagli da pestare.

Diventi amico o nemico per motivi del tutto fortuiti, occasionali, psicolabili. Ho visto sorgere un paio di maxi-risse tra pittbull umani, a pochi metri da me, senza poter far nulla, né dividerli né allontanarsi, imbottigliati nel flusso. Ti accorgi di una carica di violenza e frustrazione a lungo accumulata che cerca di notte una miccia per esplodere e divampare; quell’esuberanza di energia che ieri si sfogava nella guerra, nell’esercitazione atletica o nella lotta politica tra fazioni. E ora invece è cieca, immotivata, nichilista, pura eruzione eccitata da alcol e sostanze o solo dal contagio situazionista, dal cortocircuito tra folla e narcisismo, istinto animale di sopraffazione e spettacolo di potenza.

Intorno a questi facinorosi in cerca di rissa gratuita per rendere memorabile la nottata, c’erano masse di ragazzi che tentavano minimi esercizi di socialità e perfino di conversazione e corteggiamento, schiacciati dalle fiumane in transito e da altri gruppi attigui. Li ho guardati in faccia, erano meno alieni dei guerriglieri del nulla: anzi molti erano i ragazzi della famiglia accanto, potevano essere tuoi figli o nipoti, li immaginavi fuori dalla mischia, nella vita corrente, a studiare e a lavorare.

Captavi il gergo della contemporaneità, le espressioni ormai rituali e tribali, la povertà lessicale e le iperboli tipiche dei ragazzi. Ti sorgeva insistente la domanda: ma perché stanno qui, perché farsi del male, chi glielo fa fare di passare così male la loro serata-nottata; cosa li spinge a passare ore in piedi, in questo vicolo sporco e angusto, schiacciati tra il muro e la folla, mentre a due passi da loro minacciosi alterchi rischiavano di degenerare da un momento all’altro in un parapiglia generale. Che relazioni puoi intavolare, che cosa puoi dirti in quel marasma?

Ho capito allora che esiste davvero quella sindrome denominata “Fomo”(1) (fear of missing out) ossia paura di essere tagliati fuori, esclusi; quest’ansia di essere inclusi, questa ossessione di essere connessi alla marea del presente, nel momento e nel luogo prescritti. Paura di perdersi qualcosa, di non essere al passo dell’ora. Ho visto in quella sindrome un estremo conato di narcisismo e inclusione, che sfocia nel desiderio oceanico di sciogliersi nel magma indifferenziato dell’Istante Collettivo.

Spariscono il passato, il futuro, l’interiorità e l’eterno, resta solo l’individuo momentaneo confluito in quella marea umana che sente di essere dentro la corrente giusta del tempo e del mondo. Guai a mancare al flusso, significherebbe non vivere, non partecipare; ci sono luoghi che diventano santuari del momento e mete di pellegrinaggi: localini insignificanti, spacci di bevande e non solo, ritrovi trendy, paninerie e street food, eletti a luoghi obbligati dell’inclusione.

Vi risparmio la solita morale dei vecchi sui giovani, ogni generazione sbaglia a modo suo. Solo un dubbio: siamo davanti a un trailer del post-umano prossimo venturo?

Note:

(1) FOMO indica una forma di ansia sociale caratterizzata dal desiderio di rimanere continuamente in contatto con le attività che fanno le altre persone, e dalla paura di essere esclusi da eventi, esperienze, o contesti sociali gratificanti.

Articolo di Marcello Veneziani (Panorama n.46)

Fonte: https://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-notte-in-balia-di-violenti-e-fomo/

ERBE SPONTANEE COMMESTIBILI
di Riccardo Luciano, Carlo Gatti

Erbe Spontanee Commestibili

di Riccardo Luciano, Carlo Gatti

Le erbe spontanee commestibili sono un vero e proprio forziere di sapori e aromi utile per mille ricette salutari e gustose.

Un libro che si presenta da solo, con un titolo semplice ed accattivante per invogliare il lettore a leggerlo e rileggerlo, a considerarlo come un manuale da cui poter attingere informazioni utili e concrete. Bastano un po' di attenzione e qualche nozione in più, per scoprire il variegato universo delle erbe commestibili, preziose tanto care in cucina, quanto in farmacia e nella cosmesi. Questa nuova edizione, che ricalca la precedente nelle linee essenziali, ha in più maggiori dettagli descrittivi, più fotografie per analizzare meglio i particolari e l'elencazione dei luoghi in cui la pianta è presente. Sono state aggiunte inoltre importanti nuove piante mangerecce fra le quali l'asparago dei boschi, il lampagione, il famoso raperonzolo e relative nuove ricette.

Negli ultimi anni si è osservato un crescente e vivo interesse per la raccolta ed il consumo delle erbe spontanee, quali ingredienti di insalate, minestroni, frittate oppure ripieni per ravioli ed altro ancora. Molte persone, per diversi motivi, si sentono attratte dalla possibilità della raccolta fai da te delle erbe selvatiche. Da un lato vi è la soddisfazione personale per aver trovato alcune piantine da raccogliere e non solo per il loro aspetto estetico, ma anche per una certa utilità (alimentare in questo caso); dall'altro in alcune persone vi è la ferma convinzione che le piante selvatiche siano più ricche in vitamine, sali minerali e principi attivi rispetto alle piante normalmente coltivate, aspetto questo che però non è scientificamente provato. In effetti la raccolta delle erbe e dei frutti spontanei ha un certo fascino e soprattutto, l'aspetto appagante, è che si raccoglie qualcosa che serve e che potrebbe tornar utile. Non è poi da sottovalutare la componente del divertimento e della raccolta all'aria aperta quale passatempo rilassante.

La raccolta delle piante spontanee per scopi alimentari prende il nome di Phytoalimurgia = Fitoalimurgia, che letteralmente significa "alimenti vegetali spontanei raccolti dall'uomo in momenti di carestia". Nella società attuale, la fitoalimurgia riveste ruoli ben diversi rispetto a quelli del passato: non più necessità alimentare legata a momenti di carestia quando l'agricoltura era solo agli albori, adesso è interesse per i prodotti naturali. Le corrette conoscenze fitoalimurgiche, se proficuamente indirizzate alla conoscenza della flora e della vegetazione, rendono possibile l'individuazione e la conservazione dell'enorme potenziale genetico (germoplasma) delle specie spontanee. Si tratta quindi di un approccio estremamente positivo. L'aspetto inderogabile, da cui non si può prescindere, è la necessità di conoscere perfettamente le piante che si vogliono raccogliere, la conoscenza non è un optional: è una necessità vitale. La scelta dell'aggettivo "vitale" è espressamente voluta: una semplice ed apparentemente "innocua" insalata o frittata può dare esiti mortali, se si è raccolta la pianta sbagliata.

E' bene ricordare che tutte le piante (insalata compresa) contengono migliaia е migliaia di principi attivi e, nel caso si trattasse di una pianta tossica, non esiste in commercio antidoto specifico (se non in pochissimi casi). Nella maggior parte delle intossicazioni, la terapia ospedaliera che viene praticata al paziente è soltanto sintomatica ed i medici cercano di sostenere le funzioni vitali dell'organismo, nella speranza che il paziente reagisca e si ristabilisca. In pratica questo è lo spirito con cui è stato scritto e voluto questo libro: cercare di descrivere in modo semplice, lineare e rigoroso, alcune piante spontanee in Italia che abbiano oppure abbiano avuto nel passato interesse alimentare e nel contempo mettere in evidenza errori in cui potrebbe cadere l'incauto raccoglitore. Quindi, se da un lato può essere piacevole "andar per erbe selvatiche", si deve d'altro canto prepararsi con uno studio accurato, non improvvisarsi esperti. E' indispensabile affidarsi a persone che conoscano veramente le erbe, magari anche solo col nome dialettale, ma le conoscano davvero.

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