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Pandemia, ecco la “Fase 3”: l’Odio contro i “non vaccinati”!

di Paolo Gulisano

Con il proclama di Draghi del 22 Luglio è iniziata la terza fase della gestione della pandemia, che è quella dell’odio, della feroce intolleranza nei confronti dei non vaccinati, che diventano non solo dei cittadini di serie B, discriminati, derisi e perseguitati, ma addirittura additati come eventuali responsabili del permanere dell’emergenza pandemica.

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Pur di umiliare i non vaccinati si vuole addirittura cancellare la deontologia medica. In realtà, se la pandemia non è finita è solo perché siamo ancora alla Tachipirina e vigile attesa dopo più di un anno.

Con il proclama di Draghi del 22 Luglio è iniziata la terza fase della pandemia. La prima scattò con lo stato di emergenza del 2020, con la strategia delle chiusure, e soprattutto con la narrazione di un virus mostruoso, invincibile, davanti al quale non c’era alcuna possibilità di cura. La seconda fase è iniziata il 27 dicembre 2020, con l’avvento del vaccino, sola ed unica salvezza, “Luce e speranza” come l’ebbe a definirlo papa Bergoglio nell’omelia di Natale.

Sono passati sette mesi, ed è ormai sempre più evidente che il vaccino non è il Messia annunciato, che la sua efficacia anche nei confronti delle varianti del virus (che si sviluppano continuamente) è limitata e che non impedisce nuovi contagi. Secondo criteri strettamente scientifici, sarebbe dunque opportuna una revisione delle strategie di prevenzione e di cura.

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Draghi invece ha inaugurato la terza fase facendo ricorso a tutti gli stereotipi propagandistici dell’antiscienza. Ha ribadito – affermando palesemente il falso – che chi si ammala muore. Ha sostanzialmente affermato – mentendo sapendo di mentire – che contagiarsi significa ammalarsi, che ammalarsi significa automaticamente morire. Una equazione che è di fatto un fake, a scopo unicamente propagandistico.

Il banchiere prestato alla politica arriva poi ad un’altra equazione surreale: sono le persone non vaccinate che diffondono il virus, che muoiono e fanno morire gli altri. Un’altra sciocchezza espressione di antiscienza. Se una persona è vaccinata, come può ammalarsi entrando in contatto con un non vaccinato? (e c’è anche bisogno di dirlo… -ndr).

Nessuno riflette sul fatto che se fosse vera l’intemerata di Draghi sarebbe la conferma che i vaccini non funzionano? Se il vaccino fosse davvero il dio liberatore, i vaccinati dovrebbero vivere felici e contenti, e compiangere i poveretti che non l’hanno ricevuto, e invece vengono istigati all’odio. Questo infatti è il problema del tempo presente.

La terza fase della gestione dell’epidemia è quella dell’odio, della feroce intolleranza nei confronti dei non vaccinati, che diventano non solo dei cittadini di serie B, discriminati derisi e perseguitati, ma addirittura additati come eventuali responsabili del permanere dell’emergenza pandemica. Qualcuno si è già risentito per il paragone fatto con le Leggi Razziali del 1938, ma è innegabile che ormai i non vaccinati siano oggetto di un odio paragonabile solo con quello provocato e indotto dai falsi “Protocolli dei Savi di Sion” e delle stelle gialle da portare sui vestiti.

Pur di colpire, piegare, spaventare, umiliare i non vaccinati, si vorrebbe arrivare addirittura a cancellare la deontologia medica, quella nata oltre tremila anni fa col Giuramento di Ippocrate, e che prevede che il medico si debba prendere cura di ogni persona, indipendentemente da etnia, convinzioni personali o altro. È stato mostruoso ascoltare medici affermare che un non vaccinato, se si ammala di Covid, dovrebbe pagarsi le cure da solo. Così impara! Una sorta di vendetta sul malato, un “peggio per te” che è incompatibile con l’etica medica.

Peraltro, se si dovesse applicare coerentemente questo principio, bisognerebbe abbandonare al loro destino anche altre categorie di malati. Ad esempio, un fumatore che per anni ha consumato pacchetti di sigarette che senza alcuna possibilità di  equivoco riportavano la scritta “nuoce gravemente alla salute”, dovrebbe pagarsi da solo le cure per i tumori ai polmoni o per le malattie cardiovascolari. E i malati di AIDS o di Epatiti A B e C conseguenza delle loro scelte in merito al comportamento sessuale dovrebbero anch’essi pagarsi le cure. E magari anche i diabetici che non hanno voluto mettersi a dieta. E non si finirebbe più… fino ad arrivare alla totale eliminazione della Medicina intesa come la professione del prendersi cura di ogni persona. Un vero delirio. Eppure queste espressioni di odio, di rabbia, di intolleranza, di cattiveria gratuita, stanno prendendo sempre più piede, sostenute da politici, da sedicenti medici virologi, dalle istituzioni.

Il non vaccinato deve diventare un capro espiatorio, deve suscitare quella stessa rabbia cieca dei presunti untori di manzoniana memoria, deve nascondere tutti i limiti e i mancati successi delle campagne vaccinali (che infatti hanno ben altro intento che non sconfiggere un virus influenzale – ndr). Ne usciremo solo con le giuste cure, e la giusta protesta contro i lasciapassare di regime lo deve instancabilmente ricordare al regime e all’opinione pubblica.

Se  la “pandemia” non è ancora finita, è solo perché siamo ancora alla Tachipirina e vigile attesa dopo più di un anno. Con le cure si può salvare chiunque, i vaccinati come i non vaccinati. Questa evidenza potrà impedire che divampi una guerra civile tra vaccinati e non vaccinati, con questi ultimi in minoranza a subire le aggressioni dei primi, con l’avallo e il sostegno della macchina di Governo. E magari con la benedizione di una certa parte di Chiesa che nei confronti dei non vaccinati non sembra far valere lo slogan “fratelli tutti”. In questa fase storica, chiunque non impedisca la discriminazione e la persecuzione si assume una gravissima responsabilità.

Articolo di Paolo Gulisano

Fonte: https://lanuovabq.it/it/pandemia-ecco-la-fase-3-lodio-contro-i-non-vaccinati

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CARTE FALSE
L'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Quindici anni senza verità
di Roberto Scardova

Carte False

L'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Quindici anni senza verità

di Roberto Scardova

«Sì, la gente ne parla», aveva risposto il sultano, «ho sentito dire che sono state trovate cisterne in mare, e che in qualche posto, durante la costruzione della strada, era stato insabbiato del materiale tossico». Poi era stato lui a guardarla dritto negli occhi. E cambiando tono aveva scandito le ultime parole dell’intervista. «Stia attenta, signorina. Da noi, chi ha parlato del trasporto di armi, chi ha detto di aver visto qualcosa, poi è scomparso. In un modo o nell’altro, è morto.»

Somalia, 20 marzo 1994: Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 Rai, e il suo operatore Miran Hrovatin vengono uccisi da un commando in una via di Mogadiscio quando stanno per fare ritorno in Italia. Nei giorni precedenti hanno lavorato in uno scenario intricato e pericoloso, in cui agiscono politici somali e italiani, militari e funzionari dell’Onu, servizi segreti e imprese che costruiscono strade, contrabbandieri d’armi e trafficanti di rifiuti tossici.

I documenti e i filmati realizzati da Ilaria e Miran arrivano in Italia solo in parte. Per fare luce sulle cause e sui modi della loro morte non sono bastati quindici anni di processi e le indagini due Commissioni parlamentari. Che cosa avevano scoperto i due giornalisti?

L’omicidio dei due giornalisti della televisione italiana, avvenuto quindici anni fa in Somalia, è ancora oggi uno dei grandi misteri nazionali. Nel paese africano, in quegli anni, agli interessi locali si mescolano gli affari internazionali, non solo politici ma soprattutto economici. La guerra tra fazioni, che i militari dell’Onu (tra cui gli italiani) a stento controllano, richiede denaro e armi.

La cooperazione internazionale, di cui le aziende italiane sono parte importante, diventa terreno propizio per i traffici illeciti, come quello dei rifiuti tossici esportati dall’Italia e sepolti in Africa.

Ma le circostanze della tragedia sono solo l’inizio di un lungo percorso nel quale gli sforzi per svelare i nomi dei mandanti e degli esecutori dell’omicidio delineano a poco a poco un intreccio di politica, economia, istituzioni, poteri pubblici e privati che cercano di nascondere le ragioni vere del delitto.

Le parole dei testimoni e la loro interpretazione nelle indagini della magistratura e del Parlamento, le ammissioni e le omissioni, le mezze verità e le bugie palesi: un’inchiesta a più voci che è il testardo tentativo di continuare a cercare la verità dei fatti, per ricordare Ilaria Alpi applicando al lavoro del giornalista l’etica che la distingueva.

In queste pagine sono riuniti i contributi di giornalisti che negli ultimi quindici anni si sono occupati a fondo delle inchieste sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Il lavoro di indagine di Francesco Cavalli, Alessandro Rocca, Luciano Scalettari e l’analisi di Mariangela Gritta Grainer sono coordinati dal racconto di Roberto Scardova, vicecaporedattore e inviato del Tg3, cui si aggiunge la documentazione dell’impegno civile di Luciana e Giorgio Alpi, genitori di Ilaria, in un’intervista di Barbara Bastianelli e Francesco Cavalli.

Il libro nasce dall’attività realizzata intorno al Premio giornalistico televisivo Ilaria Alpi, nato nel 1995 per diffondere l’impegno e il senso etico che hanno caratterizzato il lavoro della giornalista. Il concorso, promosso dalla Regione Emilia Romagna, dalla Provincia di Rimini e dal Comune di Riccione per riconoscere e accreditare l'impegno per l'inchiesta giornalistica televisiva sui temi della pace e della solidarietà, oggi rappresenta in Italia uno dei più importanti momenti di riflessione sul giornalismo d'inchiesta, grazie alla sua videoteca, ai  convegni e alle pubblicazioni.

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