L’Odio dei “Politicamente Corretti”

di Andrea Indini

Verrebbe da chiedere: là fuori c’è ancora qualcuno normale? C’è ancora chi pensa che, se facciamo vedere Aladdin o il Libro della Giungla ai nostri figli, non li cresciamo come pericolosi razzisti? C’è ancora chi ritiene carta straccia l’articolo di Variety in cui bolla come “film scorretti” capolavori come Indiana Jones o Forrest Gump?

Politicamente Corretto

Me ne sono tenuto alla larga il più possibile, tanto lo considero un dibattito stucchevole. Siamo usciti da un’emergenza sanitaria senza precedenti (secondo alcuni… secondo altri una falsa pandemia – ndr) per poi trovarci impantanati in un surreale braccio di ferro tra l’ottusità della dittatura del “politicamente corretto” e il dono dell’intelletto che, di questi tempi, mi sembra manchi davvero a tanti.

Il caso Floyd, l’afroamericano ammazzato da un poliziotto nelle strade di Minneapolis, è stata la miccia per far esplodere un odio che covava sotto da tanto tempo. L’odio contro il buon senso. Così dobbiamo assistere ai raid di un manipolo di scalmanati, che la prof di storia boccerebbe seduta stante, e al moralismo perbenista di chi si fa più censore della censura dittatoriale. E, scherzo del destino, a finire impallinato finisce uno dei boss del politicamente corretto, mister Mark Zuckerberg, colpevole di non essere abbastanza censore. Che mondo assurdo!

Verrebbe da chiedere: là fuori c’è ancora qualcuno normale? C’è ancora chi pensa che, se facciamo vedere Aladdin o il Libro della Giungla ai nostri figli, non li cresciamo come pericolosi razzisti? C’è ancora chi ritiene carta straccia l’articolo di Variety in cui bolla come “film scorretti” capolavori come Indiana Jones o Forrest Gump? C’è ancora chi strabuzza gli occhi nel vedere i colossi dei prodotti di bellezza fare a gara per far sparire dai propri magazzini le creme sbiancanti? Secondo me siamo rimasti davvero in pochi. O, per lo meno, in pochi siamo disposti a far sentire la nostra voce. Forse perché sappiamo che a dire l’ovvio ci si becca le accuse peggiori.

E così ci ritroviamo, ormai ogni giorno, subissati da notizie folli. L’ultima in ordine temporale? I Simpson, cartone nato dall’abile matita di Matt Groening per deridere il politicamente corretto, hanno fatto sapere che “non useranno più attori bianchi per doppiare personaggi non bianchi”. Ma ciucciati il calzino, direbbe Bart e, facendo spallucce, si attaccherebbe alla bomboletta spray per scrivere sul muro della scuola “Il preside fa schifo”. Se lo facesse su Facebook o su Tik Tok, il comitato studentesco lo impallinerebbe tacciandolo di essere un fomentatore d’odio. Lo stesso capo d’accusa mosso nelle ultime ore contro Zuckerberg.

Su Facebook c’è odio? Non più di quello che c’è a un semaforo verde con le macchine congestionate e immobili nel traffico delle sei di pomeriggio. Su Facebook c’è libertà di espressione? Per carità! Apriamo gli occhi una volta ogni tanto. Accusano i vertici del social network di non fare abbastanza censura per fermare l’hate speech. Ma vi assicuro che su tutti i social, come anche i motori di ricerca, la censura c’è eccome. Ne sa qualcosa il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che quando ha scritto che, se le proteste fossero degenerate in disordini e saccheggi, avrebbe dovuto mandare l’esercito a fermare i rivoltosi. L’hanno bollinato come un odiatore. Oggi giorno, ormai, tutto “puzza” di razzismo. E chi è più “puro” epura i meno puri. Si arriva persino a riscrivere il passato e a prendersela con le statue.

Ma come siamo arrivati a questo punto? È il risultato di anni di campagne nefaste in cui, a tutela delle minoranze più starnazzanti, si faceva a pezzi la normalità. È anche il risultato di innumerevoli (e strapagate) commissioni internazionali contro l’odio, che non sono diventate altro che tribunali del popolo pronti a ghigliottinare chi la pensa diversamente da loro. Sono gli estensori del politicamente corretto che si dilettano mentre il popolo, quello vero, fa fatica a tirare a fine mese.

Negli Stati Uniti sono stati molto bravi a incanalare la protesta e mettere in difficoltà Trump che, altrimenti, avrebbe rivinto le elezioni a mani basse. “Già prima che scoppiasse la pandemia, mi ero reso conto che ci trovavamo in un momento rivoluzionario in cui ciò che sarebbe stato impossibile o addirittura inconcepibile in tempi normali non solo era divenuto possibile, ma forse anche assolutamente necessario”, ha azzardato a dire tempo fa, uno squalo come George Soros. “Poi – ha ammesso – è arrivato il Covid-19, che ha sconvolto radicalmente la vita delle persone e imposto una condotta di vita molto diversa. Si tratta di un evento senza precedenti che probabilmente non si è mai verificato in questa combinazione”.

Ora, fermiamoci un istante e chiediamoci: a chi giova questa folle crociata in nome del politicamente corretto? E soprattutto: siamo sicuri che fa il bene della nostra morente società occidentale? O, come ha profetizzato un gigante come Michel Houellebecq, alla fine di questa pandemia “tutto sarà lo stesso. Solo un po’ peggiore”?

Articolo di Andrea IndiniResponsabile del Giornale.it dal 2014, autore di “Il partito senza leader”, “Isis segreto” e “Sangue occidentale”.

Articolo di Andrea Indini

Fonte: http://blog.ilgiornale.it/indini/2020/06/28/lodio-del-politicamente-corretto/

DISCORSO SULL'INFINITO
di Igor Sibaldi

Discorso sull'Infinito

di Igor Sibaldi

La trascrizione di una delle più interessanti conferenze di Igor Sibaldi, finalmente disponibile in cartaceo, per coloro che non potevano essere a Roma ad ascoltare il "Discorso sull'Infinito".
E anche per coloro che vogliono risentire quelle parole dentro di sé

Adattarsi alla vita significa morire ogni giorno: adattarsi all'Italia vuol dire potenziare soltanto l'emisfero sinistro del cervello, ossia adeguarsi al conformismo brutale e disperato che dirige le energie dei cittadini fuori di sé, verso un gruppo ristretto di personaggi disinteressati al bene comune. Cosa fare? Il tema più utile e rivoluzionario della nostra cultura, spiega Sibaldi, sarà a breve l'infinito.

In questo eclettico pamphlet l'autore, novello Virgilio, conduce i ricercatori del presente nel ricchissimo mondo del futuro, in quella dimensione esperibile tramite le facoltà dell'emisfero destro fatta di scoperte, slanci e abbondanza.

Tra Il Conte di Montecristo e l'Albero della Vita, da Shakespeare al crollo della mente bicamerale, Sibaldi mostra – con un'invettiva sfrontata ed elegante – la strada che collega una vita ordinaria e modesta a un'esistenza infinita e esaltante.

Il volume è arricchito da 12 illustrazioni di Michela Filippini.

Cos'è questo? E perchè lo è?

Chiederselo senza credere di sapere già le risposte:
basterebbe a restare vivi, dentro

Anteprima del Libro

Abitiamo in un Paese decisamente sinistro, neurologicamente parlando; in un Paese molto "finito"; molto "credente" in tante cose (nella bontà di un papa, nella pubblicità, nella politica, nella malevolenza della magistratura, nella promessa che tra un po' le cose andranno meglio) ma privo di fiducia nei singoli individui che vi abitano. Adattarsi a questo Paese, potenziando il più possibile l'emisfero sinistro, è oggi tanto faticoso quanto umiliante.

Adattarsi a cosa, propriamente?

A una morale falsa.

Purtroppo la morale italiana è molto falsa e molto forte al tempo stesso: ovvero, il peggior tipo di morale che ci si possa figurare – un conformismo brutale e disperato, come non se ne ricordava l'uguale dai tempi del basso impero romano.

Adattarsi a un'economia il cui unico scopo non è certamente quello di far arricchire i cittadini (scordatevelo, per qualche decennio), bensì di deviare le loro risorse verso un gruppo ristretto di persone che le adoperano e le adopereranno male.

Adattarsi a una cultura silenziosa, acquiescente, debole e ben decisa a rimanerlo, intimorita dal nuovo, ovunque asservita a qualche gruppo di potere, oppure costernata dinanzi alla propria inutilità e alla sempre più evidente incapacità della gente di intenderla.

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A tanti capita di pensare che sia dannoso parlare in termini esclusivamente umani (psicologici, neurologici) di argomenti che secondo le religioni sarebbero invece divini. Qualcuno reagisce con indignazione – sia tra le persone religiose, sia tra i cosiddetti atei.

Ed è facile intuire perché: quella che in Occidente si chiama "fede" è infatti un'obbedienza, un adeguamento – cioè un'espressione dell'emisfero sinistro.

Non per nulla la maggioranza dei "credenti" conoscono poco o nulla delle loro Sacre Scritture; e credono che nei Vangeli e nella Bibbia si trovino scritte cose di cui invece in quei libri non c'è traccia. Lo credono soltanto perché così è stato detto loro da persone autorevoli; e, sorprendentemente, se leggono qualche riga dei Vangeli o della Bibbia, si obbligano automaticamente ad avere l'impressione che quelle righe confermino la loro "fede": che cioè ci sia scritto ciò che tanti dicono che ci sia scritto...

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Il termine "finito" indica tutto ciò che è in qualche modo scisso, separato da un intero di cui fa parte; "infinito" si applica a ciò che non è separato da tutto il resto.

Nella nostra psiche, noi siamo in una dimensione "finita" ogni volta che – a voler proprio parlare con un neurologo – utilizziamo soltanto le facoltà dell'emisfero sinistro, e siamo "infiniti" quando estendiamo la nostra attività cosciente anche all'emisfero destro: allora ognuno di noi, nel suo nutshell, nel suo guscio di noce, comincia a diventare re di uno "spazio infinito".

"Certo, di uno spazio infinito interiore!" potrebbe obiettare un timoroso.

"Fuori, nella vita concreta, per un re simile non cambierebbe un bel nulla.
D'altronde si sa che dopotutto la filosofia lascia sempre le cose come stanno.
"

Quest'affermazione sull'inefficacia della filosofia risale al filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein, ma su questo punto l'impulsivo Wittgenstein aveva preso un granchio.

Può darsi che le teorie filosofiche lascino tutto come sta, per alcuni anni dopo la loro formulazione, in particolar modo tra coloro che non vogliono sentir parlare di filosofia; ma i principali cambiamenti prodottisi nella storia dell'umanità sono stati annunciati e largamente determinati – a volte con l'anticipo di qualche decennio, a volte di meno – proprio dalle opere di filosofi; si pensi ad Aristotele, a Gesù, a Paolo di Tarso, a Marx e via dicendo.

Nel caso nostro, poi, non si tratta neppure di filosofia, ma di ordinaria percezione del reale: cambiare questa percezione è possibile, certo, solo in interiore homine, ma le conseguenze di tale cambiamento si estendono immediatamente a tutto l'universo circostante.

Sta a noi, poi, se valutarle come un modo di sentirci outsider rispetto al mondo comprensibile, oppure re di uno spazio infinito.

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