Social Media: una minaccia per la Salute Mentale?

Una nota e affezionata utente di social media, l’attivista politica Alexandria Ocasio-Cortez, eletta al Congresso statunitense il 6 novembre 2018, ha pubblicamente annunciato che sarebbe uscita da Facebook perché riteneva che fosse “una minaccia per la salute pubblica”.

Pur essendosi ampiamente affidata ai social media per essere eletta, ha più recentemente raggiunto la convinzione che essi contribuiscono a “maggiore isolamento, depressione, ansia e dipendenza”.

Non è sola. L’anno scorso, l’Accademia Americana di Pediatria (AAP) ha pubblicato uno studio sulla depressione infantile, da cui è risultata la possibilità che i social media svolgano un ruolo nell’aumento di suicidi riscontrato tra le ragazze adolescenti. Nel Regno Unito, peraltro, il governo sta considerando l’opportunità di porre restrizioni sui social media per proteggere bambini e adolescenti.

La Salute Mentale negli adolescenti è in declino

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha elencato la depressione come la principale causa di problemi di salute e disabilità. Anche un recente studio che prende in considerazione dati sulla popolazione statunitense, relativi ad un ampio arco temporale (dal 2005 al 2017), ha mostrato un elevato aumento di disturbi dell’umore e di suicidi in quel periodo tra adolescenti e giovani adulti. L’individuazione delle possibili cause di questi risultati si è indirizzata, tra i vari orientamenti di ricerca, anche alla possibilità di stabilirne un collegamento con il sempre maggior uso dei social media da parte dei giovani.

Sebbene sia del tutto evidente che questi due trend di crescita possano in teoria verificarsi in modo assolutamente indipendente, alcuni ricercatori si sono posti negli ultimi anni la domanda se potesse invece essere dimostrata una correlazione tra questi dati. Più recentemente sono stati pubblicati vari studi epidemiologici su larga scala aventi la finalità di raccogliere indizi su come i social media potrebbero influenzare i giovani.

Il Centro di Ricerca sui media, la tecnologia e la salute dell’Università di Pittsburgh (USA) ha pubblicato nel 2018 i risultati di uno studio che ha interessato 1730 giovani adulti (di età compresa tra 19 e 32 anni). Sono stati suddivisi in cinque gruppi in base alla quantità di tempo trascorso sui social media, analizzando quindi l’entità dei sintomi di depressione e ansia all’interno dei vari gruppi.

Il risultato è stato di una connessione direttamente proporzionale in linea retta: ad un crescente impegno nei social media, corrispondeva un maggior riscontro di disturbi di depressione e ansia. Nella stessa indagine sono state identificate analoghe associazioni tra uso dei social media nei soggetti esaminati e tendenza all’isolamento sociale, problematiche nel campo alimentare e disturbi del sonno.

Questi risultati sono in linea con un’altra recente analisi condotta in USA, Canada e Australia su un ampio campione di adolescenti. Questo studio ha compreso oltre all’uso dei social media anche quello dei videogiochi e ha rilevato che utenti con elevati volumi di utilizzo di tali strumenti (>5 ore/giorno) presentavano il 48% -171% in più di probabilità di riportare sintomi depressione o ideazione suicidaria, rispetto agli utenti con bassi volumi di utilizzo (<1 ora/giorno).

Osservare al di là delle apparenze

Sebbene i risultati di queste indagini possano apparire allarmanti, vari ricercatori suggeriscono molta cautela nel trarre conclusioni circa nessi di causalità tra questi dati. Con quasi 3,5 miliardi di persone che utilizzano attivamente queste tecnologie, le variabili da considerare sono innumerevoli e gli studi rischiano di conseguire risultati confondenti, se non tengono conto di tutti i fattori che contribuiscono a questi risultati.

Ciò premesso, il dott. Primack (Dottore di Ricerca presso il già citato Centro di Pittsburgh), aderisce alla teoria che avvalora un legame tra uso dei social media e problemi psichici di depressione, ansia e solitudine. A suo giudizio, infatti, la socializzazione online riduce le interazioni dirette tra le persone, che sappiamo per certo rappresentino un fattore positivo di protezione sul piano psicologico.

Una obiezione a questa impostazione potrebbe essere rappresentata dal fatto che l’associazione potrebbe essere auto-selezionante, dal momento che proprio coloro che già hanno problemi di salute mentale possono essere più portati a rivolgersi ai social media per migliorare le loro condizioni.  “Nella realtà – sostiene ancora Primack se una persona si trova in uno stato vulnerabile ed entra nell’ambiente dei social, sviluppa l’impressione che tutti gli altri stiano vivendo una vita migliore, più felice e più produttiva della sua ed è molto facile allora che questo confronto peggiori ulteriormente la sua autostima“.

Molti ricercatori ritengono che sarebbe più utile, nei lavori di indagine epidemiologica, considerare con quali obiettivi i soggetti sottoposti allo studio utilizzino queste piattaforme, piuttosto che valutarne solo la frequenza nella giornata. Afferma a questo proposito ancora Primack: “Due persone possono usare entrambe 2 ore di social al giorno, ma la persona A potrebbe semplicemente guardare le foto di neonati e cuccioli e cliccare ‘mi piace’, mentre la persona B potrebbe attuare interazioni rabbiose con altri utenti su argomenti di politica, religione e altri temi ‘caldi’, evidentemente con significati e ricadute emotive assai diverse nei due casi“.

Il recente lavoro di Primack porta anche altri dati interessanti per analizzare questi fenomeni. In primo luogo, indica che l’uso passivo dei social media è correlato a più alti tassi di depressione rispetto all’uso attivo (ad esempio, creando i propri contenuti, magari anche in collegamento con gli amici). Inoltre, è stata trovata una relazione lineare tra il numero di piattaforme utilizzate e il rischio di depressione e ansia. Quest’ultimo, infatti, risulta più elevato in coloro che utilizzano un numero maggiore di piattaforme (da sette a undici) rispetto a chi invece ne utilizza di meno (da zero a due), pur tenendo conto il dato relativo al tempo totale dedicato all’utilizzo dei social.

Social media: luci ed ombre

Molti altri dati suggeriscono invece che i social media possono rappresentare un fattore positivo per molte persone. Gli studi hanno dimostrato un notevole beneficio quando le reti di supporto sociale crescono per aiutare le persone disabili o con problemi psichici. E’ certo che i social media possono, ad esempio, migliorare la salute generale promuovendo la cessazione del fumo e più corrette abitudini alimentari.

Di contro, un’esperienza comunitaria può favorire la condivisione di un evento traumatico, moltiplicandone le conseguenze stressanti. A questi risultati sono giunte varie ricerche sul cyberbullismo e sulle ricadute negative a livello psicologico che ne derivano, non solo per le vittime ma anche per gli esecutori.

Come uscirne?

Aldilà di quanto emerge dalle ricerche degli specialisti, l’opinione pubblica statunitense è già ampiamente sensibilizzata sulle problematiche connesse all’uso eccessivo dei social. Basta pensare che nell’ottobre dello scorso anno, il New York Times ha pubblicato un articolo che illustrava gli sforzi dei lavoratori della Silicon Valley per tenere i loro figli lontani dalla tecnologia digitale.

La conoscenza di queste problematiche comporta che i medici, di fronte ad adolescenti affetti da problemi di ordine psichiatrico, oltre ad indagare altri fattori di rischio, pongano anche domande su quanto sia frequente il ​​loro uso delle piattaforme digitali. Al tempo stesso, bisogna tenere conto che ci si può trovare di fronte alle perplessità o all’incredulità da parte di un adolescente, a cui viene detto che un’attività che domina quasi tutti gli aspetti della sua vita sociale, potrebbe essere dannosa per lui.

È per questo che alcuni studiosi raccomandano di avere molta cautela nel trasmettere messaggi solo di biasimo per gli adolescenti eccessivamente dipendenti dai media digitali, per il rischio di aumentarne i sensi di colpa. Altrettanto controproducente potrebbe rivelarsi la tentazione di vietarne completamente l’accesso, sottraendo così la fruizione anche delle varie esperienze positive che questi strumenti consentono.

Per i casi più gravi di dipendenza, con sintomi di malessere che rispecchiano quelli della dipendenza da droghe o alcol, negli Stati Uniti viene consigliato di rivolgersi a vere e proprie strutture riabilitative, che accolgono adolescenti e adulti, le cui esistenze sono state destabilizzate dall’uso compulsivo di media digitali. In tali residenze si attua un primo periodo di “disintossicazione” che dura generalmente 1-2 mesi, cui segue un programma di “rieducazione” che si protrae per ulteriori 6-9 mesi. Si parte dal presupposto che vivere nel XXI secolo ed evitare i media digitali è quasi impossibile, per cui si deve procedere essenzialmente ad un “reset” delle abitudini mentali, con lo scopo di imparare ad usare i dispositivi elettronici di comunicazione sociale in modo sano e produttivo.

Bibliografia

  • Tubman K. AOC: ‘Social media poses a public health risk to everybody.’ Yahoo News. April 15, 2019.
  • Guy J. As concern about kids’ mental health and social media use grows, authorities take action. CNN. February 5, 2019.
  • World Health Organization. “Depression: let’s talk” says WHO, as depression tops list of causes of ill health. March 30, 2017.
  • Primack BA, Shensa A, Sidani JE, et al. Social media use and perceived social isolation among young adults in the U.S. Am J Prev Med. 2017;53:1-8.
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Fonte: https://www.ipsico.it/news/social-media-una-minaccia-per-la-salute-mentale/

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