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Contratti collettivi scaduti: un brutto Colpo per 14 milioni di Lavoratori

di Salvatore Recupero

Mai come in questi mesi la percentuale dei contratti collettivi scaduti è stata così elevata. Un fenomeno che, secondo i sindacati, nei primi otto mesi dell’anno ha coinvolto quasi l’80% dei lavoratori dipendenti.

Sono 922 i contratti vigenti, il 59% è scaduto

L’esecutivo deve intervenire, dato che le parti sociali da sole non hanno saputo trovare la quadra. Partiamo dalle cifre. Secondo l’undicesimo Report periodico dei contratti collettivi del Cnel “il 61,6% dei contratti collettivi nazionali di lavoro risulta scaduto alla data del 30 giugno 2020. Gli accordi in attesa di rinnovo sono 576 su 935″. Le cifre si avvicinano a quelle denunciate dai sindacati se consideriamo che in attesa del rinnovo contrattuale ci sono oltre 10 milioni di lavoratori privati (il 79,2%) che salgono a più di 13 milioni se si aggiungono i circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici. I settori interessati riguardano l’agricoltura, il florovivaismo e fioricoltura, i chimici, i metalmeccanici (l’unico di cui è in corso la trattativa), il tessile e la moda, commercio e agenti di commercio, i lavoratori dello spettacolo, la Rai, trasporto e logistica, i marittimi, i bancari, quelli della sanità”. I salari si ritrovano stretti tra l’incudine della cassa integrazione e il martello del mancato rinnovo dei contratti collettivi nazionali.

I contratti collettivi hanno avuto ed hanno una grande importanza nella tutela dei diritti dei lavoratori su tutto il territorio nazionale. Furono introdotti dal fascismo (Carta del Lavoro pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 100 del 30 aprile 1927) e finita la seconda guerra mondiale furono cancellati per volontà dei “sindacati  democratici e antifascisti”. Dopo il 1968 gli antifascisti ci ripensarono e ne chiesero a gran voce l’introduzione. Questo breve excursus storico ci serve per capire che dopo quasi un secolo non è stato trovato uno strumento altrettanto efficace.

Sfortunatamente in Italia abbiamo i tecnici a cui qualche sciagurato affida ruoli importanti. E’ il caso proprio del Cnel, che è stato messo nelle mani di Tiziano Treu: ricordate bene, si tratta dell’ex ministro del Lavoro che verrà ricordato per essere il padre politico degli stage.

Non soddisfatto del “contributo dato alla patria” ha pensato bene di dare ancora qualche buon consiglio. Pertanto l’accademico “riformista” ha preso la palla al balzo, annunciando “la necessità di definire di elementi comuni, nuovi diritti, come quello alla formazione, o le regole del lavoro agile, da includere nella contrattazione”. In pratica i contratti collettivi non servono più, abbiamo bisogno di soluzioni nuove. L’intenzione è buona. È sempre bene guardare avanti ma, se a guidarci è un “cieco”, il rischio di andare a sbattere è notevole. Il pacchetto Treu è lì a ricordarcelo.

Le Categorie più danneggiate

Intanto, mentre il presidente del Cnel è proiettato verso il futuro, molti lavoratori dipendenti sono costretti a tirare la cinghia a causa dei contratti collettivi in scadenza. Per ora le categorie più danneggiate sono quelle che fino a pochi mesi fa abbiamo incensato. Prendiamo ad esempio il caso dei dipendenti della sanità privata: l’attesa per la firma sotto il rinnovo del contratto Aiop – Aris della sanità privata sembra non conoscere fine.

“Entro il 30 luglio – dichiara il segretario nazionale dell’Ugl Sanità Gianluca Giuliano – doveva essere stipulato il contratto dopo la pre-intesa che avevamo sottoscritto il 10 giugno. Sono 14 anni che gli operatori di questo comparto, attendono un gesto che darebbe loro il giusto riconoscimento economico e restituirebbe la dignità che meritano”. Purtroppo però, ancora nessuno ha stabilito chi deve mettere i soldi sul piatto.

Ci sono in ballo circa 300 milioni di euro di cui dovrebbero farsi carico le strutture private, visto che la metà dei costi gravano sul ministero della Salute di concerto con le regioni. Stiamo parlando di circa 100mila dipendenti della sanità privata che chiedono da anni di essere equiparati a coloro che operano nel pubblico. Non si capisce infatti, perché un infermiere di una grande struttura pubblica deve avere un trattamento migliore di un suo collega che lavora in una clinica privata. Gli introiti di queste ultime derivano in gran parte dai ricavi per prestazioni svolte per conto del Servizio Sanitario Nazionale.

Il 61% dei contratti collettivi è scaduto - Jobs & Skills - quoted business

Passando dal particolare alle questioni generali, questo vuoto normativo (rappresentato dal mancato rinnovo dei contratti nazionali) può aprire la strada al salario minimo orario imposto per legge tanto voluto dal Movimento 5 Stelle.

È in arrivo il “Salario minimo”?

A sollevare questo dubbio è La Meta Sociale (organo dell’Ugl): Il governo si è limitato a raddoppiare per il solo 2020, la quota esentasse di beni e servizi erogabili direttamente dalle aziende ai propri dipendenti: la nuova soglia è stata fissata a 516,46 euro. Il problema, però, è l’esiguità dello stanziamento, appena 12,2 milioni di euro, utili a coprire circa 47 mila posizioni. È sufficiente quindi che un paio di grandi aziende sottoscrivano un accordo collettivo per lasciare tutte le altre senza risorse. Sullo sfondo, intanto, resta lo spettro del salario minimo orario per legge, tema particolarmente caro alla ministra del lavoro, Nunzia Catalfo, ma meno alle parti sociali”. Se le cose dovessero andare così, i contratti collettivi andrebbero consegnati alla storia e al suo posto avremo il salario minimo orario. Vediamo meglio di cosa si tratta.

L’art. 2 del d.d.l. voluto dai pentastellati prevede un salario minimo orario di 9 euro al lordo delle ritenute previdenziali che corrisponde a circa 12 euro di costo diretto aziendale (considerando solo il carico dei contributi mensili e non i costi differiti o indiretti come le mensilità aggiuntive e il Tfr). Con questo orientamento, il salario minimo sarebbe imposto per legge, e non più delegato alle parti sociali la sua contrattazione.

Detto così sembrerebbe una buona idea, ma in molti hanno espresso dei dubbi in merito. A mettersi di traverso non sono stati solo i sindacati che vedrebbero indebolito il loro ruolo politico. Ad esempio, per i consulenti del lavoro si tratterebbe di un meccanismo rischioso che potrebbe costringere molti lavoratori ad accettare retribuzioni bassissime perché non assistiti da contratti collettivo.

Inoltre, il presidente della “Fondazione Studi Consulenti del Lavoro”, Rosario De Luca, ha sottolineato che questo provvedimento potrebbe danneggiare anche le imprese “creando un innalzamento delle retribuzioni dei lavoratori più qualificati, per via di una sorta di effetto rimbalzo che potrebbe provocare un ulteriore aumento del costo del lavoro per le imprese“. Infine, il calo del peso fiscale per i lavoratori deve essere applicato anche alle imprese. Come si vede il reddito minimo rischia di essere l’ennesimo provvedimento spot dei grillini. In assenza di “una cultura delle relazioni industriali” il reddito che sia minimo o di cittadinanza serve solo ad ottenere molti like sui social, senza migliorare le condizioni di vita dei lavoratori.

Articolo di Salvatore Recupero

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/economia/contratti-collettivi-scaduti-brutto-colpo-14-milioni-lavoratori-165753/

LA VOLONTà DI POTENZA (EBOOK)
di Friedrich Nietzsche

La Volontà di Potenza (eBook)

di Friedrich Nietzsche

Il concetto, mutuato probabilmente da Spinoza e da alcuni saggi di Emerson, come Potenza,  viene menzionato per la prima volta da Nietzsche in così parlò Zarathustra, per poi essere ripreso, almeno a margine, in quasi tutte le sue opere successive.

Esso riecheggia inoltre la centralità della volontà nella filosofia di Schopenhauer, dove era intesa come volontà di vivere che si afferma al di là e al di sopra di ogni rappresentazione, nei singoli viventi, e che andava convertita in noluntas, o non-volontà, mediante una sorta di percorso ascetico ispirato allo spiritualismo orientale. Tuttavia la volontà di vivere di Schopenhauer era un'essenza trascendente come la cosa in sé di Kant, mentre la volontà di potenza è un principio del tutto immanente.

La volontà di potenza è per Nietzsche la volontà che vuole se stessa, è cioè una volontà impersonale intesa come perpetuo rinnovamento dei propri valori; questa concezione sposa perfettamente il prospettivismo nietzschiano (da non confondersi con il relativismo), secondo cui l'Uomo deve continuamente aggiornare il suo punto di vista e mai fissarsi su una presunta verità definitiva.

La volontà di potenza non si afferma dunque come desiderio concreto di uno o più oggetti specifici, ma come pulsione infinita di rinnovamento. È evidente in tal senso il nesso profondo che lega il tema della volontà di potenza con quello dell'oltreuomo e dell'eterno ritorno: è caratteristico dell'oltreuomo, infatti, poter assumere su di sé con leggerezza tutto il peso di questa volontà creatrice, accettando e affermando l'inesorabile ripetizione dell'attimo creativo, che soggiace alla teoria dell'eterno ritorno.

Presentiamo tradotta, per la prima volta in italiano, l'opera che Nietzsche vagheggiò per anni come esposizione organica e compiuta della sua dottrina, e che lasciò soltanto abbozzata in una quantità di note dal 1882 al sopraggiungere della malattia.

La presente traduzione è condotta sull'ultima recente edizione che è la prima in cui l'opera si presenta con unità e compiutezza di libro, essendosi lo studioso che l'ha curata preoccupato di ordinare il materiale secondo il piano fissato da Nietzsche stesso in una nota del marzo 1887, e di trascegliere nel caos delle note quanto si coordina in esposizione unitaria della dottrina fondamentale di Nietzsche.

Doveva essere, fin da quando scriveva il "Zaratustra" e segnava le prime note, il capolavoro in prosa, l'opera complessiva e fondamentale: "qualcosa di immenso e portentoso". Doveva essere l'esposizione della sua visione del mondo intorno a quella che ne era divenuta l'idea centrale: la volontà di potenza.

Doveva essere l'opera d'arte -- da cui non si può pensare scompagnato il pensiero di Nietzsche: anche qui la più vagheggiata: "come introduzione: la cupa solitudine della campagna romana. La pazienza nell'incertezza. La mia opera deve contenere un giudizio complessivo sul nostro secolo, su tutta la modernità, sulla raggiunta "civiltà".

Ogni libro come una conquista, tasto -- tempo lento -- fino alla fine drammaticamente succinto, infine catastrofe e improvvisa liberazione".

Fu l'opera dal destino più doloroso. Mutila, caotica, subì profanazione in una prima superficiale edizione piena di errori del 1901. Per i più fedeli cultori del pensiero di Nietzsche, per la sorella stessa di lui, l'edizione di "La volontà di potenza" rimase un problema pieno di difficoltà. Dal 1906 il manoscritto è tutto fedelmente pubblicato con tutti gli inconvenienti del disordine, delle ripetizioni, dei fuor d'opera. Con questa edizione è raggiunto, con fedeltà nella scelta, nell'ordine e nell'interpretazione filosofica, anche il massimo accostamento alle esigenze dei lettori: quanto di meglio, date le tragiche vicende del lavoro, si è potuto fare per conservare l'essenza.

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