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La “Teoria di Gaia”

La “Teoria di Gaia”, concepita dal chimico inglese James Ephraim Lovelock, ipotizza che il pianeta Terra non sia solo una palla di roccia fluttuante, ma un organismo pulsante di vita dotato di un proprio metabolismo.

Non è un concetto complicato, anzi è semplicissimo. Soltanto bisogna dimenticarsi per un momento di se stessi e dotarsi di parecchia empatia. Empatia per immedesimarsi in questa creaturina qui:

Accattivante scatto che ritrae Gaia, immortalata da Apollo 17 in un momento di distrazione. Questa è una delle fotografie che hanno contribuito, oltre 40 anni or sono, a far comprendere all’umanità quanto sia piccolo e prezioso il nostro pianeta. Tutto attorno non c’è niente. Solo vuoto, solo morte. Poi c’è questa piccola biglia colorata, una perla in mezzo al nulla che pulsa di vita così, come niente fosse. Un vero miracolo.

Cos’ha di diverso questo bel pianeta rispetto a tutti gli altri sassi giganti, più o meno luminosi, che gironzolano per l’universo? Semplice a dirsi: è vivo. Vivo in senso metaforico? Non solo.

Il pianeta vivente

Vista dallo spazio, la Terra è un corpo unico. Se venisse a trovarci una delegazione di alieni alti 12mila chilometri, questi non vedrebbero esseri umani, elefanti o balene, né transatlantici, muraglie cinesi e stadi olimpici. Vedrebbero solamente ciò che è della loro stazza: una curiosa palla umida e tiepida, la cui superficie è percorsa da grandi chiazze bianche.

Il sole abbaglia la palla su un solo lato alla volta, ma incredibilmente non lo surriscalda, né il lato in ombra si congela di continuo. Per intendersi, sulla luna l’escursione termica è di quasi 300°C, su mercurio di oltre 500°C. La nostra palla è invece tiepida e ha un bel colorito sano, rispetto agli altri sassi rinsecchiti che girano attorno al sole.

Questo suggerisce agli spilungoni intergalattici che c’è qualcosa di strano: la palla non è inerme, ma attiva. Al suo interno accade qualcosa di particolare, un processo autonomo in grado di mantenere stabili le condizioni di questa bizzarra biglia rotante. Questo processo ha un nome: si chiama vita.

Ma cos’è la vita? “La vita è la proprietà di un sistema di mantenere un equilibrio dinamico al proprio interno, reagendo attivamente alle sollecitazioni esterne attraverso un proprio metabolismo”. Parola di Erwin Schrödinger. Questa è la definizione di vita più alla moda e quella a cui ci atteniamo.

La Teoria di Gaia

                                                    James Lovelock [Image by Bruno Comby, CC-BY-SA-1.0]

Recependo le conclamate congetture di Schrödinger sul concetto di vita, e dopo essere riuscito in qualche modo a farsi assumere alla NASA, il chimico inglese James Ephraim Lovelock ha avuto un’intuizione brillante: pensare al pianeta terra come a un gigantesco organismo vivente. Il pianeta si nutre di luce solare, la digerisce, convertendola in diversi tipi di energia, la sfrutta per mantenere la propria temperatura e la propria umidità, poi la disperde sottoforma di calore. La Terra, dopo aver fatto una scorpacciata di luce, rimane uguale a sé stessa, disperdendo l’energia in eccesso sottoforma di calore. Come noi dopo aver ingurgitato una pizza e averla trasformata in feci.

Se la terra non fosse viva sarebbe uguale a Marte, un pianeta in cui l’atmosfera si è persa nel cosmo, la pressione è più o meno la stessa del vuoto, e l’escursione termica tra giorno e notte è di 160° gradi. Un pianeta senza cicli metabolici, che non utilizza in nessun modo l’energia ricevuta dal sole. Insomma: un pianeta inerte.

È proprio confrontando la terra con Marte, durante la sua attività alla NASA, che Lovelock concepisce la sua teoria. “Cos’ha di diverso la Terra, da Marte?” si chiede. Essendo un chimico, l’occhio gli casca istintivamente sulla chimica. Osserva che i gas che compongono la rada atmosfera marziana sono stabili, vicini all’equilibrio chimico. Tutto un altro pianeta, rispetto alle turbolenze e alla gas-diversità dell’atmosfera terrestre.

L’atmosfera terrestre è ben lungi dall’equilibrio chimico, pur essendo composta da gas che dovrebbero reagire prontamente tra loro per dare origine a composti stabili. Il fatto che questi gas rimangano separati, trasgredendo le leggi chimiche, e mantenendo così il tipico equilibrio dinamico dell’omeostasi, rende la Terra molto simile a un organismo vivente.

Su questa base elaborò la Teoria di Gaia (o Ipotesi di Gaia) che descrive la terra come un unico sistema autoregolante, capace di mantenere le sue caratteristiche chimico-fisiche inalterate nel tempo.

Da notare che, secondo il simpatico chimico, è la vita stessa, attraverso i processi che innesca, a far vivere l’intero pianeta. In precedenza, al contrario, si dava per scontato che fossero gli esseri viventi ad approfittarsi di un pianeta che già possedeva di per sé le condizioni ideali.

La teoria generò ovviamente grande scetticismo e Lovelock ripose inventandosi un modello planetario semplificato. Un modello serio, messo a dura prova con scrupolose simulazioni. Un pianeta in cui crescevano solo margherite che dimostrò la fondatezza delle sue affermazioni.

Cellule e organi di Gaia

                              Api impegnate a tenere in vita il pianeta [Image by Dwight Sipler, CC-BY-SA-2.0]

Gaia è un superorganismo vivo, come un gigantesco batterio. Al suo interno avvengono reazioni complesse che trasformano in vita, l’energia luminosa ricevuta dal sole. Dal punto di vista Lovelockiano, i principali processi metabolici erano i grandi cicli della materia: il ciclo dell’acqua, del carbonio, dell’azoto, eccetera.

Facciamo un confronto con l’uomo, che reputiamo tradizionalmente un organismo singolare, esso è composto da migliaia di miliardi di cellule. Le nostre cellule, come sappiamo, sono organismi a se stanti che hanno un proprio ciclo vitale.

I globuli rossi, camionisti dei vasi sanguigni, nascono, scarrozzano tutta la vita emoglobina, invecchiano e muoiono. I globuli bianchi e i loro colleghi del sistema immunitario mantengono ordine e pulizia. Le cellule epiteliali fanno il loro noioso lavoro di mattoni strutturali, e quando crepano vengono sostituite senza tanti piagnistei.

Tra l’altro conteniamo pure organismi del tutto esterni, come la flora intestinale, o i funghi, o un’infinità di agenti patogeni che ospitiamo come in un albergo di carne. Questo esercito di esserini indipendenti, presi tutti assieme, formano un singolo Homo Sapiens. È un sistema complicatissimo e delicato a cui non pensiamo affatto, mentre ogni mattina ci incolonniamo in tangenziale, eppure ci dà la vita.

Infatti noi ci facciamo i fatti nostri, ci svegliamo, facciamo colazione, lavoriamo, ceniamo e torniamo a dormire. Più o meno quello che fa un globulo rosso. Comprendiamo dunque come, assieme a noi, tutte le piante e gli animali sulla crosta terrestre contribuiscono assieme a dar vita al pianeta.

Se le creature sono cellule (l’unità fondamentale), dunque gli ecosistemi sono gli organi. Non si dice che la foresta pluviale sia il polmone della Terra? Ecco, appunto. È l’organo che produce ossigeno, che poi servirà ad altri organi che metteranno a disposizione qualcos’altro. Tutti gli ecosistemi lavorano insieme per mantenere in vita Gaia, come cuore e fegato lavorano costantemente per mantenere in vita noi.

Conclusioni

                                     Gaia, ancora felice e spensierata, prima della comparsa di Homo Sapiens

Le conseguenze della Teoria di Gaia (tralasciando quelle metafisiche):

  • La Terra è viva, e in quanto tale si autoregola.
  • È la vita stessa a rendere abitabile un pianeta, e non viceversa.

Cosa comporta questo per noi?

  • La Terra non è una miniera da svuotare, né semplicemente la nostra casa. Siamo parte di lei.
  • Gli ecosistemi, in qualità di organi, sono tutti ugualmente importanti per la sopravvivenza di Gaia, quindi da preservare.
  • I cicli metabolici (acqua, carbonio, azoto eccetera) sono fondamentali al benessere di Gaia e non devono essere alterati.
  • Se Gaia si ammala, sia pure per causa nostra, come minimo le salirà la febbre.

Fonte: http://www.urlodipan.it/2017/05/23/la-teoria-di-gaia/

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