Confessioni di un “sicario” dell’economia

di Daniele Di Filippo

I “sicari” dell’economia sono un’élite di professionisti ben retribuiti, che hanno il compito di trasformare la modernizzazione dei paesi in via di sviluppo, in un continuo processo di indebitamento e di asservimento agli interessi delle multinazionali e dei governi più potenti del mondo.

John PerkinsPer dieci anni, John Perkins è stato uno di loro, e ha toccato con mano il lato più oscuro della globalizzazione in paesi come Indonesia, Iraq, Ecuador, Panama, Arabia Saudita, prima di affrontare una graduale presa di coscienza che lo ha portato a farsi difensore dell’ecologia e dei diritti civili delle popolazioni sfruttate, e a scrivere il libro intitolato “Confessioni di un sicario dell’economia. La costruzione dell’impero americano nel racconto di un insider”.

Questi sicari sono professionisti che spingono e convincono i paesi in via di sviluppo a contrarre pesanti debiti con il FMI, la Banca Mondiale, con l’USAID (agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale). I prestiti che questi organi internazionali si vedono richiedere, vengono giustificati in base a straordinarie previsioni di sviluppo economico, spesso inventate, che vengono stilate dagli stessi sicari. I guai per quegli sfortunati paesi, iniziano quando si tratta di ripagare il debito, dato che il contratto viene, ovviamente, stipulato in modo da non poter essere mai ripagato! E così facendo gli USA si assicurano un nuovo paese sotto il loro controllo!

Ecco uno stralcio tratto dal libro di Perkins:

Sfruttamento dei paesi poveriOggi, ci sono uomini che si recano in Thailandia, nelle Filippine, in Botswana, in Bolivia e in ogni altro paese dove sperano di trovare persone che cerchino diperatamente lavoro. Vanno in questi posti con il chiaro proposito di sfruttare dei derelitti: persone i cui figli sono gravemente malnutriti o muoino letteralmente di fame, persone che vivono nelle baraccopoli e hanno perso ogni speranza in una vita migliore, persone che hanno addirittura smesso di sognare in un altro giorno di vita.

Questi uomini e queste donne lasciano i loro uffici sfarzosi a Manhattan o San Francisco o Chicago, sfrecciano attraverso oceani e continenti con jet di lusso, scendono in hotel a cinque stelle e cenano nei ristoranti migliori che il paese ha da offrire. Poi vanno in cerca dei disperati. Oggi i mercanti di schiavi esistono ancora. Non hanno più bisogno di marciare nelle foreste africane in cerca di esemplari di prima qualità che fruttino bei soldi alle aste di Charleston, Cartagena e L’Avana. Si limitano a reclutare gente disperata e a costruire una fabbrica per produrre giubbotti, jeans, scarpe da tennis, ricambi di automobili, componenti per computer e migliaia di articoli che si possono vendere sul mercato che preferiscono.

Possono scegliere anche di non possedere neppure personalmente quelle fabbriche, ma di ingaggiare un uomo d’affari locale che faccia tutti il lavoro sporco al posto loro. Questi uomini e queste donne si ritengono integerrimi. Tornano a casa con le foto di luoghi pittoreschi e antiche rovine da mostrare ai propri figli. Frequentano seminari dove si scambiano pacche sulle spalle e ghiotti consigli su come affrontare le eccentriche usanze dei paesi lontani. I loro capi assumono avvocati che li rassicurano che ciò che fanno è perfettamente legale. Hanno a loro disposizione una squadra di psicoterapeuti e di altri esperti di risorse umane pronti a convincerli che stanno aiutando quei disperati.

Il mercante di schiavi di vecchia maniera, si diceva di aveve a che fare con una specie non interamente umana, a cui stava offrendo l’opportunità di convertirsi al cristianesimo. Capiva anche che gli schiavi erano essenziali per la sopravvivenza della sua società, che erano il fondamento della sua economia. Il moderno mercante di schiavi, si tranquillizza dicendosi che quei disperati stanno meglio se guadagnano un dollaro al giorno piuttosto che niente, e che ricevono comunque l’opportunità di integrarsi nella più vasta comunità mondiale. Anche lui capisce che questi disperati sono fondamentali per la sopravvivenza della società in cui lavora, che sono il fondamento del suo stesso stile di vita. Non si ferma mai a pensare alle implicazioni più profonde di ciò che lui, il suo stile di vita e il sistema economico che ci sta dietro stanno facendo al mondo, o al modo in cui potrebbero influenzare da ultimo il futuro dei suoi figli.”

Articolo di Daniele Di Filippo

Tratto da: “Confessioni di un sicario dell’economia” di Jhon Perkins

Fonte: http://www.losai.eu/la-schiavitu-moderna-esiste/

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