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Limitazione della libertà e bracciale elettronico per chi non scarica l’App “Immuni”. Ma non era volontaria?

di Cristina Gauri

Era solo questione di giorni… L’app di tracciamento contatti “Immuni” scelta dal Governo come strumento per arginare l’epidemia di coronavirus non è ancora uscita, ma già la musica sulla tanto declamata “base volontaria” del download è cambiata.

circa la prospettiva

In sostanza, le task force impegnate a lavorare sulle misure che dovranno regolare la “fase 2” starebbero già facendo marcia indietro sulle rivelazioni di pochi giorni fa a corredo del lancio dell’app.

Con una magistrale supercazzola diffusa sulle pagine del Corriere, si viene infatti a sapere che sì, è probabile che Immuni resterà ad adesione volontaria, machi sceglierà di non scaricarla potrebbe subire delle ancora non ben specificate limitazioni negli spostamenti. Ora, chiunque capirebbe che questa è una coercizione basata sul baratto delle libertà di cui il governo ci sta peraltro privando da quasi due mesi. Ovviamente il team di cervelloni ha anche pronta la giustificazione a corredo della misura: la limitazione degli spostamenti dovrebbe costituire un “incentivo”, come lo chiama zuccherosamente il Corriere “per raggiungere quel 60% di adesioni che viene considerata la soglia minima per garantire l’efficacia del sistema”. Insomma gli italiani sono ormai ridotti al ruolo di asini, da far camminare a suon di bastonate e finte carote attraverso la fase 2.

Cosa dice il Garante della Privacy?

Interessante, peraltro notare come il sito Agendadigitale.it riporti, in un lungo articolo che analizza le criticità dell’app, come il Garante della privacy nei giorni scorsi avesse (giustamente) dato per scontato che l’applicazione dovesse essere adottata su base volontaria, e che, udite udite, l’app non deve essere “utilizzata per finalità repressive (sorveglianza del soggetto in quarantena obbligatoria)”. Ma è riguardo la volontarietà che il Garante giunge alle considerazioni più interessanti parlando “dell’impossibilità di imporre l’utilizzo di dispositivi elettronici, riferendosi nello specifico alle fasce della popolazione”, come gli anziani, il cui utilizzo può dirsi “tutt’altro che scontato”. Alla luce di tutte queste considerazioni, secondo il Garante “non si dovrebbe ‘abbinare’ il download della app all’accesso a servizi o beni (come accade in Cina), che ne determinerebbe una specie di coercizione indiretta all’utilizzo”.

Le perplessità degli esperti di digitale

Su questo e altri punti avevano, già nei giorni scorsi, espresso motivate perplessità alcuni tra i massimi esperti in termini di digitale e di privacy. Il professor Oreste Pollicino, per esempio, ha rilevato delle potenziali criticità in tema di anonimizzazione dei dati, soprattutto sulla necessità di un’ampia trasparenza nel trattamento e nella gestione di questi ultimi. Forti perplessità, peraltro, sono state espresse dall’avvocato Andrea Lisi, presidente dell’Anorc, il quale ha sollevato dei dubbi sui problemi di potenziale riutilizzo dei dati nel flusso che lega il governo e la società privata proprietaria dell’app, la quale per implementarla ha cooperato con il centro medico Sant’Agostino e Jakala, una società di marketing che opera nel settore dei “big data”. La domanda sorge spontaneamente: è garantito che la suddetta società di marketing non abbia contatto con i dati sanitari di milioni di italiani? E soprattutto, laddove dovesse averne, come è intenzionata a trattarli? Mistero…

App IMMUNI: qualche preoccupazione per il Grande Fratello - GLOBUS ...

L’ideona del bracciale elettronico

Sull’impossibilità di imporre lo smartphone a quei 17 milioni di italiani che ne sono sprovvisti, i “luminari” delle task force hanno già estratto dal cilindro una soluzione “lungimirante”, e con la più sconvolgente naturalezza del mondo, ecco che ci viene presentata la proposta del braccialetto elettronico per anziani, una misura a cui probabilmente nemmeno Orwell nelle sue fantasie più sfrenate si sarebbe mai immaginato di assistere. Sempre su “base volontaria”, sempre previa stretta sugli spostamenti in piena fase 2, se ci si rifiuta di indossarlo. I costituzionalisti – che già si erano preoccupati per le misure precedenti e per un utilizzo fin troppo disinvolto da parte del governo delle fonti del diritto – si stanno mettendo già le mani nei capelli per riuscire a capire come una misura di questo tipo, pur nell’alveo della tutela della salute, possa essere comunque giudicata compatibile con il quadro costituzionale.

La proposta è ancora in fase di elaborazione, ma ci viene fatto sapere che la misura potrebbe – sempre quel condizionale che cela la promessa – essere formalizzata nei prossimi giorni dalla commissione tecnico-scientifica, con il placet di Domenico Arcuri, il commissario straordinario firmatario dell’ordinanza relativa all’app, e d’intesa anche con la task force guidata da Vittorio Colao.

Articolo di Cristina Gauri

Fonte: https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/limitazione-liberta-bracciale-elettronico-immuni-153708/

GLI INVENTORI DELLE MALATTIE
Come ci hanno convinti di essere malati
di Jorg Blech

Gli inventori delle malattie

Come ci hanno convinti di essere malati

di Jorg Blech

L'intento di questo libro è far capire al lettore come il suo stato fisico e la sua età lo trasformino nel bersaglio dell'industria farmaceutica.
Infanzia, adolescenza, menopausa, vecchiaia, ogni normale fase dell'esistenza è ormai trattata alla stregua di una malattia. Il libro mette in guardia dall'invasione delle medicine nel quotidiano.

"C'è una storia interessante raccontata in uno degli ultimi numeri del "Bollettino d'informazione sui farmaci", austera pubblicazione del Ministero della Salute. Eccola: dalla fine degli anni '80 hanno iniziato a riunirsi periodicamente a Roma alcuni gruppi di specialisti dell'intestino, con il compito di discutere tutte le malattie cui questo organo può andare incontro. Finora ne hanno descritte minuziosamente 21, tra cui la stipsi cronica. Lo zelo classificatorio degli esperti è ben applicato, ironizza l'editoriale sul "Bollettino", dato che uno studio clinico "randomizzato e controllato a doppio cieco con placebo ha appurato che il tegaserod produce un evacuazione spontanea in più ogni due settimane, al costo di circa 100 dollari per 'evento' aggiuntivo". Moltiplicando il numero degli eventi aggiuntivi per quello degli interessati alla questione ("almeno 4 milioni di italiani"), si comprende la generosità con cui varie industrie farmaceutiche hanno sovvenzionato per anni le riunioni di Roma e le associazioni di pazienti.
Ci sarebbe quasi da sorridere se l'argomento non fosse dei più seri, perché il caso di "stipsi cronica" o la sindrome da colon irritabile, l'altra faccia della medaglia, sono due esempi tratti fra tanti di come l'industria della salute, per assicurarsi una continua crescita del mercato, stia trasformando normali alti e bassi della vita quotidiana, disturbi lievi e comuni, in malattie potenzialmente serie per cui è necessario assumere farmaci.

Quella di considerare tutti malati è un processo che ha una causa semplice.
Come scrive brutalmente Blech, "per poter mantenere inalterata l'enorme crescita avuta negli anni passati, l'industria della salute deve prescrivere sempre più spesso farmaci a persone che sono sane".

Per mezzo di studi discutibili dal punto di vista epidemiologico, si fanno apparire alcuni problemi assai più gravi di quanto non siano. Anni fa si è cominciato a ripetere che un terzo della popolazione soffrirebbe di depressione...
Come nascono queste cifre?
In vari Paesi si svolgono indagini, in genere commissionate e sponsorizzate dall'industria, in cui test tipo: "Ti sei sentito triste e apatico per più di due settimane nell'ultimo anno?" vengono usati come criteri diagnostici.

Ma i trucchi possono essere altri. Si trasforma un semplice fattore di rischio in una malattia vera e propria. O si abbassano sempre più le soglie di normalità di certi parametri e automaticamente i potenziali malati si raddoppiano o triplicano. Nessuno di questi dati è inventato. Dietro le definizioni ci sono gruppi di esperti che stilano linee guida di trattamento e criteri diagnostici. Numeri e cifre sono stati pubblicati sulle più importanti riviste mediche. E proprio questo è il segno di quanto grande sia il condizionamento.
Alla base di tutto c'è la contiguità, inopportuna ma ormai inevitabile, tra medici e industria. Sono corrotti?
Spesso svolgono il loro lavoro ritenendosi indipendenti. Alcuni lo sono. Altri credono di esserlo ma non si rendono conto che nella scelta delle informazioni che forniscono, nell'enfasi su un aspetto piuttosto che su un altro, senza dire cose false le presentano in una luce poco scientifica, trasformandosi inconsapevolmente in fonti pubblicitarie.

I media sono parte integrante del meccanismo. Agenzie di pubbliche relazioni confezionano per giornali e Tv documenti in cui si mostra l'importanza della patologia, condita di dati su quante persone ne sono affette e sul fatto che la maggior parte non riceve cure adeguate, più il commento di autorevoli esperti....

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