Uccidere per lavoro: ecco cosa succede a chi lavora nei Macelli

di Vittoria Salvo

Gli Animali non sono le uniche vittime dell’Industria della Carne: anche gli operai vivono dentro un incubo ai margini della realtà.

Lavoratori nei macelli

Chi lavora nei macelli è facilmente incline a soffrire di “disturbi da stress post traumatico” (PTSD), a causa delle azioni violente perpetrate a discapito di altri esseri viventi. In questo articolo cercheremo di darne un’idea, prendendo in esame il contesto americano, grazie al cospicuo archivio costituito da studi, ricerche e testimonianze.

Lo stress post traumatico vale anche per loro

“Certe volte si presentano strani pensieri nella tua testa. Sei solo: tu con i polli morenti. Dalla natura barbarica dei tuoi comportamenti nascono sentimenti surreali. Stai uccidendo migliaia degli uccelli indifesi: sei un killer”. Queste sono le parole estrapolate dal blog di Virgil Butler, ex operaio di un mattatoio di polli in Arkansas, deceduto nel 2006, rimasto fortemente segnato dall’esperienza lavorativa nel mattatoio e che si è poi dedicato all’attivismo a favore degli animali. Quello che colpisce le persone che lavorano in questi ambienti, si definisce “stress traumatico”.

Lo psichiatra Chi-Chi Obuaya, consulente presso l’Ospedale di salute mentale di Nightingale a Londra, specifica che il disturbo da stress post traumatico è associato di solito ad individui che hanno subito un trauma. Nel caso degli operai dei macelli, la questione è, quindi, un po’ diversa: sono loro a provocare traumi, per di più in modo ripetuto nel tempo.

Per questo motivo, Obuaya parla di stress traumatico indotto dalla perpetrazione (PITS): le sue analisi comparate, mostrano che tale attività rischia di sfociare in disturbi mentali simili a quelli che di cui soffrono i bambini soldato, costretti a una situazione di conflitto in cui devono commettere orribili atti di violenza.

Anche Rachel M. Macnair, sociologa e psicologa, descrive questo disturbo, analizzando però casi di carnefici, veterani di guerra e nazisti durante la seconda Guerra Mondiale: questi casi studio, sono accomunati dall’atto dell’omicidio, che ha causato nelle diverse circostanze, reazioni simili contraddistinte da ansia, panico, depressione, abuso di droghe e alcol, aumento della paranoia, senso di disintegrazione, dissociazione e amnesia.

La natura ripetitiva dell’esposizione al trauma come autore del reato porta ad una rottura nell’identità dell’individuo. Le analisi effettuate, hanno portato la Macnair ad affermare che anche i lavoratori dei macelli rappresentano un’altra parte della società che potrebbe essere vulnerabile a questo particolare tipo di disturbo: gli ex lavoratori dei macelli hanno descritto di aver sperimentato sintomi da PTSD negli anni successivi alle loro attività.

Le testimonianze di chi ci è stato

Secondo Laura Moretti, fondatrice di Animals Voice non ci è possibile capire davvero che cosa accade all’interno dei macelli: “La comprensione dell’uomo è limitata, non si può immaginare si può solo vivere in prima persona”. Ecco perché libri come “Slaughterhouse” di Gail Eisnitz, attivista di The Humane Farming Association, sono fondamentali: qui si trovano le testimonianze degli operai dei macelli che descrivono il loro lavoro quotidiano. Ed Van Winkle, per esempio, racconta nel libro: “Certi maiali in mattatoio mi vengono vicino e mi strofinano il muso contro, come fossero dei cuccioli. Due minuti dopo li devo ammazzare a suon di sprangate. Questi maiali finiscono nella cisterna bollente e quando toccano l’acqua cominciano ad urlare e a scalciare. A volte si agitano talmente tanto da schizzare l’acqua fuori dalla cisterna, prima o poi muoiono affogati. C’è un braccio rotante che li spinge in basso, non hanno modo di uscire fuori. Non sono sicuro se muoiano prima affogati o prima ustionati, ma ci mettono qualche minuto per smettere di dimenarsi.”

Il già citato Butler lavorava per l’azienda Tyson, uno dei maggiori produttori di carne di pollo degli Stati Uniti e,  dopo esserne uscito, ha deciso di fondare un santuario per gli animali salvati e raccontare il disagio nato dal suo lavoro. Nel suo articolo “Inside the mind of a killer” scrive: “L’enorme quantità di esseri viventi che uccidi e di sangue che vedi, dopo un po’ arriva alla tua psiche, soprattutto, se non puoi semplicemente spegnere tutte le emozioni e trasformarti in uno zombie robotico della morte. Ti senti parte di una grande macchina della distruzione”.

I macelli: realtà ai margini della realtà

Il lavoro nei macelli ha anche delle conseguenze indirette sulle relazioni sociali. Urbanisticamente, i mattatoi, lo sappiamo, sono stabilimenti posti ai margini della città. Sono attività da tenere lontane e di cui si accetta solo il “risultato”. Di riflesso anche chi lavora lì appartiene ad un contesto sociale emarginato, posto ai limiti della nostra vita, diventano popolo di un mondo che tutti hanno ben cura di tenere lontano dalle loro menti.

È lo stesso Bulter a descrivere l’isolamento sociale che lui e i suoi colleghi dovettero affrontare: “Sei solo, sai che sei diverso dalla maggior parte delle persone. Loro non hanno orribili visioni di morte nelle loro teste, non hanno visto quello che hai visto tu e neppure lo vogliono sapere, non ne vogliono sentire parlare. Se lo facessero come farebbero a mangiare quel pezzo di pollo, dopo?”.

D’altronde se il processo di rimozione di cui parla Melnie Joy nel suo libro “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”, funziona con il pezzo di carne che ci ritroviamo nel piatto, perché non dovrebbe funzionare anche quando abbiamo a che fare con qualcuno che nei macelli ci lavora? Secondo la psicologa americana, infatti, quando mangiamo carne siamo portati a non associare quel cibo all’animale da cui proviene; allo stesso modo vogliamo rimuovere dalla nostra mente il collegamento tra una persona e il suo lavoro “da killer” di animali, come lo definiva lo stesso Bulter.

L’inibizione dell’Empatia

Sono recenti, inoltre, gli studi che hanno evidenziato come il contesto sociale in cui si vive o si lavora, sia strettamente legato all’attivazione e all’. Ad esempio, quando un gruppo si conforma ad un’ideologia ispirata a concetti di superiorità o basata sull’aggressività (come accade durante la seconda guerra, per esempio) può verificarsi un blocco diffuso dell’empatia e della compassione, frenando gli individui ad aiutare chi si trova in difficoltà.

Prendendo come esempio ancora una volta la testimonianza di Butler, sappiamo come “l’inferno di Tyson” abbia reso lui e i suoi colleghi più inclini alla violenza anche fisica. In questo quadro, Virgil racconta come la violenza quotidiana che esercitava sugli animali, lo portasse anche a reprimere, in generale, il rispetto nei confronti della vita, descrivendo nello specifico alcuni dei “giochi” che i lavoratori praticavano con le carcasse di animali morti: uno di questi, consisteva nell’estirpare le teste ai polli vivi, per poi metterle sulle dita e usarle come pupazzi: “Non puoi avere una coscienza forte – spiega – e uccidere creature viventi notte dopo notte”.

Da queste analisi emerge chiaramente come i macelli siano realtà a sé stanti, nelle quali si attivano processi di normalizzazione della violenza. Sempre nel libro “Slaughterhouse” leggiamo: “Dicono che l’odore del sangue ti renda aggressivo, ed è così. Con il tempo non ti importa più del dolore delle persone, una volta ero molto attento ai problemi della gente, ero disposto ad ascoltare. Ma dopo un po’ diventi insensibile“. Si crea, quindi, un circolo vizioso in cui è la stessa società a creare i presupposti per costruire un mondo meno empatico.

Quello che succede fra le mura dei macelli, oppure nelle realtà come gli incubatoi dei polli, è un vero “sacrificio emotivo” che chi lavora lì deve compiere ogni giorno. Anche questo è un aspetto da considerare, quando ci chiediamo perché dovremmo scegliere un’alimentazione a base vegetale.

Articolo di Vittoria Salvo

Fonte: https://www.vegolosi.it/news/lavoratori-nei-macelli/

NOVANTACINQUE
Gli animali di fattoria come non li avete mai visti

Novantacinque

Gli animali di fattoria come non li avete mai visti

Un libro che vi porterà a conoscere da vicino quegli animali che la maggior parte di noi non ha mai l'occasione di incontrare da... vivi. Questa raccolta di racconti e fotografie scritti e scattate da persone che hanno salvato, curato e amato questi animali, vi mostreranno aspetti di essi che forse non pensavate possibili.

Ben lungi dall'essere quegli esseri stupidi e privi di sentimenti che spesso ci vengono presentati, gli animali protagonisti di Novantacinque si rivelano essere altrettanto unici dei cani e dei gatti con cui molti di noi condividono la propria vita: creature complesse dotate di ricche personalità, profondità d'animo, emozioni, capacità di relazionarsi. 

Da Justice (in copertina), il manzo scappato da un camion lungo il tragitto verso il macello, ora auto-elettosi cerimoniere del santuario per animali in cui risiede, fino a Gilly, una piccola gallina bianca salvata da un allevamento industriale per la produzione di uova, che ha trovato una quieta felicità in una casa amorevole, ogni animale ha una storia avvincente che vi catturerà. Le belle foto arricchiscono i racconti, permettendo di instaurare un rapporto più "personale" con i singoli protagonisti, di guardare nei loro occhi – le "finestre dell'anima" – e di vedere quella straordinaria scintilla di vita che contengono. Alcuni degli animali vi faranno sorridere, altri vi commuoveranno, alcuni vi faranno piangere, e altri ancora vi daranno da pensare. Tutti sono affascinanti.

Perché Novantacinque? Novantacinque sono, statisticamente, gli animali la cui vita viene risparmiata, ogni anno, da chi adotta una dieta vegana, cioé priva di prodotti di origine animale (compresi uova e latticini).

Questo libro, dal punto di vista editoriale, è un azzardo: costoso da produrre in quanto interamente a colori, tratta un argomento che non lo rende un probabile best seller. Eppure, ho voluto scommetterci lo stesso. Perché è un libro unico. È un libro fatto con il cuore e che parla al cuore.

Non è il solito libro che racconta le atrocità cui sono sottoposti gli animali di allevamento per cercare di convincerci a diventare vegani. Gli autori di questo libro si pongono lo stesso obiettivo, ma ricorrono a uno strumento diverso dall'orrore, il ribrezzo, il senso di colpa di fronte allo strazio dei loro corpi e del ricorso al raziocinio di fronte all'insensatezza ecologica ed etica della produzione industriale di carne, uova e latticini.

Il loro strumento è l'amore intelligente. Le immagini e le parole che compongono questo libro sono immagini e parole che provengono da persone che hanno conosciuto davvero gli animali di cui parlano. Che li hanno osservati in silenzio, che ci hanno vissuto insieme. Li hanno conosciuti in profondità. E li hanno amati... E vorrebbero tanto che anche voi poteste conoscerli e amarli, perché solo così nascerebbe nel vostro cuore l'impulso genuino a proteggerli e rispettarli, come proteggete e rispettate il vostro cane, il vostro gatto, il vostro canarino, il vostro criceto...... Perché nel profondo dei loro occhi avete visto la stessa anima. E non potete più fare finta di non averla vista.

Un libro per vegetariani e vegani e per tutti quelli che... "ci sto pensando" Da regalare a tutti quelli che "si è vero, hai ragione, vorrei anch'io ma non ci riesco" Ottimo anche da regalare ai ragazzi per informarli e sensibilizzarli e da leggere e sfogliare insieme ai bambini per mostrare loro qualche animale di fattoria che è veramente felice (spiegando loro il perché).

Ogni cosa ha una sua propria voce.

Tuoni e fulmini e stelle e pianeti,

fiori, uccelli, animali, alberi

– tutti hanno voci,

ed essi costituiscono una comunità

di esseri profondamente interconnessi

 Thomas Berry

Il libro tratta di galline, mucche, maiali, tacchini, capre, pecore, anattre, oche e conigli. Per ciascuna di queste specie vi è una carrelata di ritratti fotografici in apertura e due o tre monografie su un singolo individuo, con la sua storia, scritta dai volontari che se ne sono presi cura.

Nella sezione successiva, nel capitolo "ritratti", per ogni singolo animale ritratto nelle 136 foto del libro viene fornita una breve storia che offre lo spunto per illustrare concisamente le condizioni in cui questi animali vivono negli allevamenti. Un altro capitolo ci narra come vivono gli animali nei santuari che ora li ospitano e un breve capitolo ci ricorda che anche gli animali acquatici sono vittime dello sfruttamento. Non mancano una bibliografia e un elenco di siti dove il lettore potrà approfondire gli argomenti e un elenco dei santuari, sia negli Stati Uniti che in Italia.

"È davvero affascinante apprendere da questo libro quanto "belli" i polli, i tacchini, i maiali, le mucche e gli altri animali di fattoria possano essere. Questo è un libro raro, di quelli che ti cambiano la vita. Esso evoca un senso di meraviglia, goia e ammirazione, e il riconoscimento di quanto tutte le forme di vita siano interconnesse." John Robbins

"Uno dei libri più belli che abbia mai letto, da ogni punto di vista: le fotografie, le bellissime storie, la filosofia dietro alle storie, la vitale esuberanza degli animali e dei loro compagni umani: un libro perfetto! ... che cattura qualcosa che manca a tutti gli altri libri sugli animali di fattoria. In questo libro c'è tanto cuore, che risuona col cuore mostrato dagli animali stessi." Jeffrey Moussaieff Masson

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