In Pakistan la Vita dei Cristiani vale meno di quella degli elefanti…

di Caterina Giojelli
L’Alta Corte di Islamabad libera il pachiderma Kaavan. Il mondo esulta, il giudice fa un sermone sulla sofferenza e i diritti degli esseri viventi. E i diritti di Maira, Huma, Shafqat, invece non interessano nessuno?
“L’ergastolo, senza aver commesso un delitto. Confinato in una cella sporca e angusta, incatenato, spesso bastonato”. Così Repubblica quattro anni fa raccontava la storia di Kaavan, quella di una “condanna ingiusta”, una storia di “catene, bastoni, digiuni forzati” in Pakistan che aveva indignato il mondo: per la libertà del giovane Kaavan si era battuta la cantante Cher, per il suo immediato rilascio 280 mila attivisti avevano firmato una durissima petizione, innescando una potente campagna mediatica. Poi, qualche settimana fa: il lieto fine, l’Alta Corte di Islamabad ha emesso un ordine di liberazione, fine dell’isolamento e della prigionia, fine dei maltrattamenti e delle disumane condizioni di prostrazione a cui era stato costretto Kaavan, ormai depresso e impossibilitato a darsi pace dopo la morte della compagna Shaeli, avvenuta nel 2012. Kaavan, nato in Sri Lanka nel 1985, è dunque finalmente libero…

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