Quando gli italiani erano clandestini in Svizzera

“Braccia morte che pesano sulle nostre spalle. Dobbiamo liberarci del fardello, respingere dalla nostra comunità quegli immigrati (italiani) che abbiamo chiamato per i lavori più umili”. (1969, James Swarzenbach)
Una parte di loro aveva lo stesso taglio di capelli, lo stesso abbigliamento e grosso modo gli stessi chilometri di distanza dai genitori. Perché i genitori ce li avevano, anche se stavano in un orfanotrofio ed erano trattati alla stregua di figli di nessuno.
Un’altra parte di loro era clandestina, in un Paese straniero e ostile. Magari superava il confine chiusa nel portabagagli. Di sicuro non poteva uscire di casa né frequentare le scuole. Arrivava a mangiare senza stoviglie, pur di evitare rumori. Tutti erano bambini ed erano italiani. Hanno vissuto così fino al 2002.
“Braccia morte che pesano sulle nostre spalle […] Dobbiamo liberarci del fardello, respingere dalla nostra comunità quegli immigrati (italiani) che abbiamo chiamato per i lavori più umili”. Così scriveva nel 1969 James Swarzenbach, vertice del partito “Azione Nazionale”, a proposito delle persone che andavano in Svizzera a lavorare…

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