Ma come diavolo è governato il Mondo?

di Nicoletta Dentico

“Capire le diseguaglianze per superare l’ingiustizia finanziaria”: è lo studio presentato all’Onu per aggiornare l’agenda per lo sviluppo. Mentre cresce nel mondo l’insofferenza verso questa “governance”.

http://contropiano.org/img/2018/05/poveri-come-zombie-720x300.jpg

Le diseguaglianze sono la ferita che marca il nostro tempo: attraversano le nostre vite, abitano le nostre città, le comunità con cui siamo in relazione. Insieme all’instabilità geopolitica e alle guerre, sono la principale questione politica del presente, e abbracciano dimensioni che via via emergono, nello studio del fenomeno. Le diseguaglianze sono di natura economica, sociale, di genere, di appartenenza etnica, definiscono la possibilità di accesso ai servizi di salute e istruzione. Ma sono anche di carattere territoriale, nella divaricazione di opportunità fra città e aree rurali, o addirittura marginali. Sono generazionali: la nostra generazione ha consumato ingordamente per decenni, finendo per mangiarsi il pianeta, mentre i nostri figli devono vedersela con la minaccia di una sopravvivenza di breve termine, su questa terra.

“Se si diffonde la sensazione che i benefici del capitalismo siano distribuiti in modo iniquo, il sistema è destinato a crollare” commentava Alan Greenspan in un’intervista già nel settembre 2007. Ci siamo, a questo crinale decisivo. Eppure si tratta di un passaggio frenato dalla strana non morte del capitalismo neoliberista, le cui fattezze delineano una globalizzazione che mantiene tenacemente, come unica regola, la totale assenza di regole.

L’integrazione economica mondiale ha avuto un effetto decisivo sulle dinamiche della disuguaglianza, sia a livello nazionale che globale, soprattutto a causa della deregolamentazione finanziaria e dell’indebolimento della sovranità statale. Di questo circolo vizioso delle disparità, una forbice che si allarga e apparentemente naturalizza condizioni di emarginazione economica da un lato e concentrazione esasperata di ricchezza dall’altro, si occupa il rapporto Spotlight on financial justice. Understanding global inequalities to overcome financial injustice, che è stato coordinato da Society for International Development (SID), Christian Aid e Debt Observatory in Globalization. Il rapporto è stato lanciato a New York il 26 settembre, in coincidenza con la discussione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite sul finanziamento per la agenda dello sviluppo (Financing for Development, FfD).

Con lo sguardo fisso su cinque aree tematiche fondamentali nella agenda dei diritti – 1. Cibo e terra; 2. Salute; 3. Diritti delle donne; 4. Diritto alla casa; 5. Infrastrutture – il rapporto rintraccia le dinamiche dello squilibrio nella distribuzione delle risorse, con il preciso intento di rafforzare il superamento della tradizionale narrazione sulla “riduzione della povertà”, tanto cara alle Nazioni Unite e a larga parte della società civile.

Preoccuparsi della povertà, sia chiaro, è giusto e importante. Ma rivolgere l’attenzione soltanto all’estremo inferiore della scala sociale significa, di fatto, mantenere inalterata l’attuale distribuzione personale di reddito e di ricchezza, e non guardare alla correlazione fra povertà e ingiustizia, violazione dei diritti e politiche fiscali. Secondo l’ex Segretario al Lavoro americano Robert Reich, la disuguaglianza si è imposta con tale forza da far vacillare crescita economica e democrazia nel mondo occidentale – non solo negli Stati Uniti.

In questo senso, l’organizzazione del pensiero intorno alle disuguaglianze descrive con maggiore accuratezza i collegamenti tra povertà e prosperità, esigenze di sviluppo e politiche sociali. E impone un ragionamento sulle regole del gioco, la governance economica e una emergente tendenza che il rapporto analizza con metodo, ovvero l’incontrollata espansione del settore finanziario, anche nella arena della agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

La finanziarizzazione, secondo il rapporto, è una delle leve più irriducibili e incontrollate del circolo vizioso della disuguaglianza; dalla crisi del 2008 in poi, ha ulteriormente fagocitato l’economia e la politica stratificando in larga misura le disparità. Mentre l’1% più ricco della popolazione detiene il 47% della ricchezza globale, l’insicurezza alimentare è in costante aumento da quattro anni, e colpisce più di 820 milioni di persone. Più di un miliardo e mezzo di persone non hanno accesso ad una abitazione decente.

La finanziarizzazione della salute – a partire  dagli enormi interessi finanziari che si celano dietro la privatizzazione dei servizi sanitari, il paradigma delle assicurazioni sanitarie ormai diffuso su scala globale, e l’estremo potere delle case farmaceutiche – mette a dura prova ogni prospettiva presente e futura di accesso a prestazioni pubbliche di qualità in questo settore. Ogni evidenza empirica dimostra senza equivoci, in tutto il mondo, il valore immenso di un sistema sanitario pubblico e universalistico per la promozione della salute umana e del senso di sicurezza delle persone.

La situazione è deprimente, siamo di fronte a un gigantesco sistema di ingiustizia, c’è poco da dire. Eppure, non possiamo non cogliere in questa tempesta perfetta l’opportunità di una convergenza fra i diversi movimenti e mobilitazioni impegnate sui vari fronti del mondo. Basti pensare, mentre scriviamo, ai molti movimenti sociali presenti a Ginevra, per la quinta sessione del negoziato volto a conseguire un trattato vincolante per le imprese in materia di diritti umani – a superamento della insufficiente e volontaria responsabilità sociale di impresa. Oppure alla settimana della FAO dedicata al Comitato per la Sicurezza Alimentare. Per non parlare dell’inedito e potente sinodo  sull’Amazzonia voluto da Papa Francesco.

Un senso di profonda insofferenza per il modo in cui viene “governato” il mondo si è radicato ovunque, non più solo fra le classi più emarginate. Questo sentimento sta per raggiungere il suo punto di non ritorno. Movimenti sociali come Occupy Wall Street (con la sua scia di proteste in 951 città di 82 Paesi nel Nord e Sud del mondo), gli Indignados/15M  in Spagna, Nuit Debout a Parigi, e altri più recenti processi di attivazione popolare – pensiamo a Hong Kong e all’Ecuador – dimostrano la determinazione e la forza unitaria di cittadini e cittadine contro la disparità sociale, il capitalismo finanziario e le forme di governo antidemocratico.

Anche il riscaldamento della Terra riproduce l’atroce schema delle disuguaglianze; a pagare il prezzo più alto della alterazione del clima, sono già oggi i popoli che meno hanno contribuito a determinarla. Viceversa, le società maggiormente responsabili del consumo delle risorse limitate del pianeta, sono meno esposte alle conseguenze future delle loro azioni.

La de-finanziarizzazione è la sola strada verso la giustizia finanziaria. Questo il messaggio inequivoco del rapporto, che delinea alcune piste di concertazione, su scala locale e globale, per costruire e rafforzare la resistenza alla penetrazione degli attori finanziari in territori della vita umana che appartengono al diritto universale:

  1. la necessità di comprendere a fondo le dinamiche della finanziarizzazione, cercando di evitare forme di possibile – e magari involontaria – complicità che possono determinarsi, nella misura in cui la finanziarizzazione sa assumere tratti benevoli e insidiosi nel nome dello sviluppo sostenibile, spesso depoliticizzando i fenomeni di ingiustizia globale;
  2. la opposizione a ogni meccanismo decisionale che eluda i legittimi spazi pubblici e democratici, spesso nel nome di “opportunità finanziarie” per far avanzare il progresso, come si dà nel caso del paradigma globale delle grandi opere;
  3. l’importanza di ridefinire regole contro la liberalizzazione della finanza, a partire dal rafforzamento delle banche centrali e l’affermazione di politiche come la tassazione sulle transazioni finanziarie, il superamento dei paradisi fiscali, la lotta ai flussi illeciti di denaro;
  4. l’urgenza di democratizzare la governance economica globale. Sul piano mondiale, nello scenario da terza guerra mondiale a pezzi che viviamo, e con il rischio crescente di de-civilizzazione, come la definisce Timothy Garton Ash, la giustizia sociale e i diritti umani e ambientali devono formare il nucleo di riferimento per la rifondazione delle istituzioni internazionali e per avviare la riforma della governance dell’economia. Questo implica anche la creazione di nuovi strumenti (ad es. il trattato vincolante per le imprese) e di nuove istituzioni in grado di regolamentare con rapidità ed efficacia l’entropia finanziaria che porta il mondo alla distruzione (organismi globali sulle regole di tassazione delle imprese, etc.).

Articolo di Nicoletta Dentico

Fonte: http://sbilanciamoci.info/ma-come-diavolo-e-governato-il-mondo/

LA TRATTA DEGLI SCHIAVI
Migrazione Globale - Chi governa l'immigrazione e perché
di Jeffrey Kaye

La Tratta degli Schiavi

Migrazione Globale - Chi governa l'immigrazione e perché

di Jeffrey Kaye

Quali sono gli interessi politici ed economici che regolano questo drammatico traffico di esseri umani? Un reportage giornalistico che ci permette di portare alla luce tutte le ombre del "Fenomeno Immigrazione" e di dar voce a coloro a cui è stato negato il diritto di esistere.

Il mondo sta sperimentando un esodo globale di dimensioni mai viste finora, ma motivato dalle stesse antiche ragioni di sempre: la ricerca di nuove opportunità e risorse. Il mondo degli affari e della finanza sfruttano in modo interessato i flussi migratori, che di conseguenza continuano, sanguinosi e incessanti.

Le immigrazioni persistono per almeno due ragioni: la prima è che il mondo degli affari si basa sulla mobilità umana e sulla disponibilità di masse di lavoratori; la seconda è che i migranti sono in grado di aggirare qualsiasi forza od ostacolo che si frapponga tra loro e il loro obiettivo.

È la legge della domanda e dell’offerta.

Esattamente come il mercato della droga sfama appetiti apparentemente insaziabili, superando frontiere e controlli della polizia, così i migranti, insieme al mondo degli affari e della finanza, che li sfrutta, fanno sì che i flussi umani continuino.

È un sistema globale che possiamo definire “capitalismo predatore”,

perché basato sul traffico di esseri umani.

Questo libro intende riempire il vuoto esistente nel dibattito sul tema facendo luce sugli aspetti economici della vicenda – spesso volutamente trascurati – esaminando le relazioni tra migrazione e globalizzazione e le varie attività che incoraggiano, facilitano e traggono profitto dalle migrazioni, sia quelle legali che quelle illegali.

Da parte dei politici viene utilizzata spesso la retorica per nascondere le reali motivazioni che incancreniscono il “problema immigrazione”. La questione viene posta solo in termini di controllo e di gestione, per accontentare i più bassi istinti della folla:

qual è il modo migliore per tenere fuori dai confini gli stranieri indesiderati?

Come punire i milioni d’immigrati illegali che s’intrufolano oltre le frontiere
e non rispettano i limiti del permesso di soggiorno?

L’autore indica invece la strada su cui ci si dovrà muovere se si vorrà davvero comprendere e risolvere questo problema sociale ormai fuori controllo: perché solo tenendo conto anche delle ragioni dei migranti, i legislatori saranno finalmente in grado di elaborare delle politiche per una immigrazione razionale e umana.

E questa sarebbe davvero una nuova storia.

Indice

Introduzione

Capitolo I – Esche e paraocchi
Capitolo II – Crescere le persone per l'esportazione
Capitolo III – I migranti nel mercato globale
Capitolo IV – Cambio di rotta: la fortuna gira
Capitolo V – Le agenzie di reclutamento e il mercato degli esseri umani
Capitolo VI – I trafficanti come fornitori di servizi per la migrazione
Capitolo VII – «Dipendiamo pesantemente dai lavoratori immigrati»
Capitolo VIII – Schiavitù e flussi di denaro
Capitolo IX – «Cercasi lavoratori» o «Non oltrepassare il confine»
Capitolo X – Scelte politiche, influenze e alleanze
Capitolo XI – Resa dei conti sud-occidentale
Capitolo XII – Sangue fresco e selezione nazionale
Capitolo XIII – «Divisi per la necessità di sopravvivere»

Indice analitico
Note

Introduzione di "La Tratta degli Schiavi"

Benjamin E. Johnson, direttore dell'organizzazione a sostegno dei migranti Immigration Policy Center, durante un congresso ha eloquentemente riassunto la questione così:

«Inviamo due messaggi contrastanti ai nostri confinanti:
"Si cercano lavoratori"
e "State fuori"».

Johnson ha definito "schizofrenico" il fallimentare approccio ufficiale.

Continua a leggere: > Introduzione di "La Tratta degli Schiavi"

...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *