L’invidia tedesca per la ricchezza privata degli italiani

di Gerardo Lisco

Il piano avanzato dal capo economista della Deutsche Bundesbank, Wendorff, pubblicato dal Frankfurter Allgemeine Zeitung e ripreso dal Sole24Ore, di ridurre il debito pubblico italiano attraverso l’acquisto forzoso, da parte degli italiani, di titoli del debito pubblico, pari al 20% del patrimonio netto di ciascun italiano, ha animato il dibattito.

Non si tratterebbe di un prelievo fiscale, ma di un investimento forzato per il quale lo Stato riconoscerebbe agli acquirenti un rendimento. La Budesbank per bocca del suo Presidente, Weidmann, ha sempre alzato il dito contro la ricchezza privata degli italiani, superiore al PIL prodotto, invitando i Governi italiani a rivalersi su di essa per abbattere il debito pubblico.

Le famiglie italiane, secondo i dati riportati da uno studio della stessa Bundsbank, hanno un patrimonio medio pari a tre volte una famiglia tedesca. Si parla di valore medio, il che non significa che siamo in presenza di una equa distribuzione della ricchezza. In ogni modo, il suggerimento della Germania, che oggi esce fuori dal cappello e viene utilizzato per screditare un governo non proprio in linea con il “mainstream UE”, a partire da Monti è stato applicato da tutti i governi ad ogni manovra finanziaria. Provo a spiegarlo con un esempio.

Il prelievo fiscale altro non è che una parte della ricchezza prodotta dai privati, del quale lo Stato si appropria per produrre i servizi di interesse pubblico e per il proprio funzionamento. Lo Stato nel fare questo, può operare aumentando la pressione fiscale a carico di alcune categorie sociali, ad esempio, i più ricchi, scaricando su di esse i costi per produrre determinati servizi utili all’intera collettività, o viceversa può decidere di abbassare la pressione fiscale, riducendo i sevizi che offre, o addirittura rinunciando a produrne alcuni.

Nel primo caso assistiamo a una redistribuzione della ricchezza prodotta dai più ricchi verso i più poveri, nel secondo caso abbiamo invece un percorso inverso. Sia nel primo che nel secondo caso, lo Stato opera prelevando ricchezza privata. Nel primo caso lo fa direttamente attraverso il prelievo fiscale, nel secondo caso rinviando al mercato.

Provo a spiegarlo con l’esempio della spesa per la Sanità. Se lo Stato scegliesse di erogare integralmente il sevizio caricandolo sulla fiscalità generale, il prelievo di ricchezza privata avverrebbe direttamente attraverso la riscossione di tributi. Nel caso in cui lo Stato decidesse di rinunciare di erogare la spesa per la Sanità pubblica, riducendo la pressione fiscale, i cittadini /consumatori dovrebbero acquistare il bene sanità, che non è più un diritto, sul mercato. In questo caso il prelievo della ricchezza non avviene ad opera dello Stato ma ad opera del mercato.

Per acquistare il bene sanità il cittadino/consumatore se ha un reddito che glielo consente, attinge dalla spesa corrente; chi non ha un reddito che gli consente di acquistare il bene con la spesa corrente, lo fa attingendo al risparmiato; chi non ha né l’uno ne l’altro, rinuncia semplicemente ad acquistare il bene di cui ha bisogno. Il prelievo fiscale come ho provato a spiegare, è sempre un prelievo della ricchezza privata.

Detto questo, passiamo ad analizzare ciò che è successo alla ricchezza privata degli italiani negli ultimi anni. La ricchezza delle famiglie italiane in questi anni ha modificato la sua composizione. Da immobiliare è diventata in prevalenza mobiliare. La componente mobiliare è cresciuta e al suo interno il risparmio si è ridotto a favore del portafoglio azionario e della partecipazione a fondi. Un tempo ad essere prevalente era la ricchezza immobiliare e cioè la casa di proprietà e in minima parte il risparmio privato.

In merito la vice-presidente di Unimpresa, Cammarata, ha dichiarato a febbraio 2018 che “Con i conti dello Stato ancora poco al sicuro e il debito pubblico in crescita costante, prima o poi potrebbe essere presa in considerazione l’idea di una pericolosa tassa patrimoniale. I salvadanai delle famiglie sono sempre più pieni, perché si preferisce risparmiare e investire nella finanza: meglio accumulare che spendere, sembra la regola d’oro seguita dagli italiani nell’ultimo periodo, un atteggiamento che contribuisce a fiaccare la ripresa”. Solo per inciso, la ricchezza delle famiglie italiane è pari al 248% del PIL mentre il debito solo il 55%. Stiamo meglio dei tedeschi e non solo.

Torniamo al punto: perché questa variazione nella composizione della ricchezza privata degli italiani? Anni di politiche di austerità, moderazione salariale, lavoro precario hanno ridotto la propensione al risparmio degli italiani e gli stessi immobili hanno perso valore. Nel contempo le politiche economiche e finanziarie condotte in questi anni, hanno spostato ricchezza verso chi era già ricco, con la conseguenza che costoro hanno investito in ricchezza mobiliare.

Come ha evidenziato il giornalista Nicola Pini su l’Avvenire del dicembre 2017, riprendendo lo studio degli economisti Morelli, Acciari e Alvaredo, In meno di 20 anni, in Italia la quota di ricchezza nazionale detenuta dal 90% meno benestante della popolazione si è ridotta dal 60 al 45% del totale. Mentre il 10% più ricco ha accresciuto la sua parte fino al 55%. In questo grande ‘travaso’ di patrimonio, il top della classe agiata, l’1% degli italiani, ha visto salire la sua quota parte di circa cinque punti percentuali, superando il 20% del tesoro privato complessivo”.

Un articolo apparso su Il Sole 24 Ore sempre del 2017 riportava “Nel 2016 la ricchezza dell’1% più ricco degli italiani è oltre 30 volte la ricchezza del 30% più povero dei nostri connazionali e 415 volte quella detenuta dal 20% più povero della popolazione italiana”. In conclusione, tutta la discussione alimentata in questi giorni ha la sola funzione di terrorizzare l’opinione pubblica nazionale, per difendere non gli interessi dei più poveri ma dei più ricchi, cioè di coloro che in questi anni grazie a politiche di austerità, di moderazione salariale e tagli alla spesa pubblica hanno realizzato profitti.

La patrimoniale è stata sempre una battaglia politica di sinistra, non a caso in molti, a sinistra, si sono esaltati per la proposta avanzata dal PSOE e Podemos, contrapponendola al Def proposto dal governo in carica. Il problema non è la patrimoniale, ma le modalità secondo le quali dovrebbe operare e cioè quale base imponibile e quali livelli di ricchezza toccare. La stessa idea di invogliare, coattivamente o attraverso un’operazione di marketing, gli italiani ad acquistare titoli del proprio debito pubblico non è una pessima idea. Molto dipende da come si attua, per fare cosa e soprattutto dalla credibilità del Governo. Per decenni i risparmiatori italiani sono stati definiti come “Bot people”.

Una tale proposta non può essere imposta da un paese neocoloniale come la Germania, perché richiede una forte coscienza sociale, democratica e patriottica.

Articolo di Gerardo Lisco

Fonte: https://www.agoravox.it/L-invidia-tedesca-per-la-ricchezza.html

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Il capitalismo finanziario alimenta il falso dogma della scarsità della moneta e sta diventando sempre più una guida politica assoluta. Oltre a mercificare l'uomo, disgrega e degrada la società in due maniere: le infligge ricorrenti crisi e dissolve le sue basi morali in una logica di competizione individualistica.

Con il pretesto di dover assicurare la governance richiesta dagli stessi mercati che hanno destabilizzato la società, essa crea la giustificazione per controllare la vita sociale attraverso nuovi strumenti elettronici e biologici, che tracciano, violano e manipolano l'uomo fin nella sua integrità neurofisiologica. Questa "società gestita" è il risultato dell'applicazione degli strumenti della psicologia aziendale, potenziati con tecniche di manipolazione neurale e biologica.

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Ha generato un ordine contrario ai bisogni dell'uomo e della biosfera, un ordine cementato da un catechismo ideologico "politicamente corretto" che criminalizza, censura e inibisce chi ne critica i fondamenti.

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