di Paolo Desogus
Non so dire se nel “kiss my ass” di Trump ci sia del metodo. Credo di sì, anche se spesso mi sfugge la logica.
D’altra parte mi pare attenga non al ragionamento ma al bluff in un quadro strategico ancora opaco e in via di costruzione. Ad ogni modo il punto che mi preme sottolineare è un altro e non riguarda tanto il metodo quanto le sue premesse.
L’arbitrio che porta Trump a decidere se mettere o repentinamente togliere i dazi può certamente indignare o portare a credere che sia il frutto della follia. Di certo lascia sciogliere come neve al sole quella vecchia retorica che abbiamo dovuto sorbire per anni, che pretende di subordinare le scelte economiche a quelle mirabolanti leggi metafisiche del mercato con le quali gli stregoni del pensiero magico neoliberista hanno giustificato la macelleria sociale, la svendita del patrimonio pubblico e la neutralizzazione delle istituzioni democratiche.
Non c’è dubbio, Trump porta alle estreme conseguenze la ricerca spasmodica e rapace del profitto, ma lo fa senza nascondersi dietro la barba di qualche rinomato economista allenato a tradurre con sussiegose parole tecniche ciò che è invece l’arbitrio dei pochi contro la volontà dei molti.
Perché lo fa? Lo fa perché il giocattolo si è rotto. Perché la menzogna neoliberista non regge più. E perché a crederci sono rimaste soprattutto le sinistre “liberal”.
La premessa delle scelte di Trump sta allora nell’aver capito che per non restare intrappolato nei meccanismi ideologici del neoliberismo occorre mettersi alla testa del processo che lo archivia. È terminato un ciclo e Trump preferisce giocare la parte di colui che seppellisce il vecchio ordine per così guadagnare i crediti necessari per costruirne uno nuovo, ovviamente di destra. Per le classi dominanti le rivoluzioni devono diventare l’occasione delle restaurazioni. È sempre così.
Questo per chi deve tentare di costruire un’alternativa significa però soprattutto una cosa: non ci sono leggi del mercato sacre. Non sono sacre per la destra e non devono esserlo per la sinistra. L’economia è sempre economia politica.
Articolo di Paolo Desogus
Fonte: https://t.me/kulturjam