di Alessandro Ferretti
Cisgiordania allo stremo e attacchi agli operatori umanitari.
L’esercito israeliano, mentre continua incessamente i bombardamenti su quel che resta di Gaza, sta distruggendo ogni infrastruttura in Cisgiordania, con l’intento sempre più evidente di rendere inabitabile ai palestinesi l’intera area. E il sistema mediatico sistematicamente nasconde tutto ciò.
La situazione a Jenin è gravissima: i residenti del campo profughi sono senza accesso a cibo, acqua ed elettricità, mentre le forze israeliane ostacolano l’arrivo di aiuti umanitari e bloccano le ambulanze, mettendo in pericolo la vita dei feriti. Almeno 24 palestinesi sono stati uccisi durante questo assalto, con molti altri feriti o detenuti.
Le autorità israeliane hanno anche distrutto gran parte delle infrastrutture cittadine: il 70% delle strade e il 20% delle reti idriche e fognarie sono state demolite, lasciando l’80% del campo profughi senza acqua potabile.
L’assedio di Jenin fa parte di una più ampia campagna militare israeliana in Cisgiordania, parallela all’intensificazione dei bombardamenti su Gaza, che hanno già causato oltre 40.000 morti tra i palestinesi.
Secondo Kenneth Roth, ex direttore di Human Rights Watch, “Israele sta trasformando la sua campagna militare in una vera e propria guerra contro la popolazione civile, impedendo l’accesso a beni di prima necessità e servizi medici, il che rappresenta un chiaro crimine di guerra.”
Insomma, una pulizia etnica in piena regola. Ma l’Occidente non muove un dito, anzi, con i propri media copre tutto questo, quando non lo sostiene apertamente.
L’Attacco ai Convogli Umanitari
Sabato scorso Israele ha bombardato il camion guida di un convoglio di aiuti umanitari, pienamente segnalato e concordato, ammazzando così cinque persone che stavano portando carburante e medicine all’ospedale di Rafah.
L’attacco è avvenuto in pieno giorno e l’esercito israeliano ha tranquillamente ammesso la responsabilità diramando una spiegazione che definire “lunare” è riduttivo: hanno detto che “un gruppo di uomini armati” aveva preso il controllo del camion e che “l’attacco ha rimosso la minaccia che prendesse il controllo dell’intero convoglio”.
Assolutamente nulla di tutto ciò si è mai verificato, come afferma con forza l’ONG Anera che gestiva il convoglio, e viene da domandarsi come sia possibile che l’ipertecnologico esercito di Israele veda un assalto armato dove non ce n’è stata alcuna traccia. Peraltro, il convoglio era in continuo contatto con l’esercito israeliano al quale sarebbe bastato parlare con i responsabili per capire immediatamente la situazione.
Ma la telefonata non c’è stata perché sono tutte balle in libertà: come ricorda il Financial Times, questo è il quarto attacco israeliano a convogli e operatori umanitari a Gaza nel giro di una settimana, ed avviene giusto il giorno dopo l’attacco israeliano contro un’auto delle Nazioni Unite, anch’essa notificata, segnalata e autorizzata. Dieci colpi di mitra tutti contro i finestrini, fortunatamente antiproiettile e che hanno retto i colpi.
Qui neanche i più biechi apologeti del massacro possono trovare scuse: quattro attacchi ad operatori umanitari nel giro di una settimana non avvengono per sbaglio, avvengono perché l’obiettivo di Israele sono proprio gli operatori umanitari che ostacolano il progetto di far morire di fame, sete, ferite, malattie e dolore il più grande numero possibile di palestinesi che si ostinano a non farsi rubare la loro terra.
Articolo di Alesssandro Ferretti