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Frida Kahlo: l’incidente, la disabilità, l’arte e… la voglia di vivere

Frida Kahlo nacque a Coyoacán (Città del Messico) il 6 luglio del 1907. Ebbe una vita molto travagliata: poliomielitica, divenne anche totalmente disabile in seguito ad un terribile incidente che segnò profondamente la sua vita e morì a soli 47 anni.

Da piccola si ammalò di poliomielite: il suo piede e la sua gamba destra divennero molto esili, sino a che non divenne claudicante e venne così chiamata “Frida gamba di legno”. Scriveva: A sei anni ebbi la poliomielite. A partire da allora ricordo tutto molto chiaramente. Passai nove mesi a letto. Tutto cominciò con un dolore terribile alla gamba destra, dalla coscia in giù. Mi lavavano la gambina in una bacinella con olio di noce e panni caldi. La gambina rimase molto magra. A sette anni portavo degli stivaletti. All’inizio pensai che le burle non mi avrebbero toccata, ma poi mi fecero male, e sempre più intensamente“.

Gli atti di bullismo possiamo quindi capire che non mancavano già all’epoca. Quando Frida aveva 18 anni, il 17 settembre 1925, la sua vita si ribaltò drasticamente. Accadde che una volta uscita da scuola, salì sull’autobus per far rientro a casa – in compagnia di Alejandro Gómez Arias, studente di diritto e giornalista, di cui Frida si era innamorata – ma avvenne un incidente gravissimo tra il mezzo su cui Frida viaggiava e un tram. L’autobus finì schiacciato contro il muro e Frida ne ebbe conseguenze gravissime: la colonna vertebrale si spezzò in tre punti nella regione lombare; si frantumò il collo del femore, le costole, la gamba sinistra ebbe 11 fratture, il piede destro slogato e schiacciato, lussazione alla spalla sinistra e l’osso pelvico spezzato in tre. Inoltre un corrimano dell’autobus le entrò nel fianco e le uscì dalla vagina.

Nel corso della sua vita subirà ben 32 operazioni chirurgiche. Ecco cosa scrisse a riguardo: “Il tram schiacciò l’autobus contro l’angolo della via. Fu un urto strano: non fu violento, ma sordo, e tutti ne uscirono malconci. Io più degli altri”. Oltre al dolore che si percepisce solo nel leggere le conseguenze di quell’incidente, Frida fu costretta ad anni di solitudine.

Infatti dopo la dimissione ospedaliera, dovette restare per anni a letto nella sua stanza, col busto ingessato. Da questo momento in poi, Frida farà della sua immobilità un’opportunità. Questa condizione la spinse oltre che a leggere libri sul movimento comunista, a praticare quella che diventerà la sua ragione d’essere: dipingere.

Fu così che la famiglia decise di omaggiarla di un letto a baldacchino, di colori e di uno specchio posto sul soffitto. Così dopo il primo dipinto, il cui soggetto era il suo amato, iniziò a produrre una serie di autoritratti: “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio”.

Furono anni di solitudine profonda, come già detto, ma Frida fece dell’arte l’unica finestra nel mondo. Una volta ristabilitasi e rimessasi in piedi, dovette comunque sopportare per tutta la vita atroci dolori, in conseguenza di quell’incidente; non solo dolori fisici ma anche morali: depressioni, estraniamento, perdite e anche i tradimenti di quello che sarà suo marito, Diego Rivera (foto sotto), illustre pittore d’epoca – tra i quali, anche quello con la sorella – e infine la consapevolezza che non avrebbe mai potuto avere dei figli, che ella invece avrebbe voluto.

Nel 1944, dovette indossare un busto d’acciaio, in conseguenza dei suoi problemi alla colonna vertebrale. La tecnologia al servizio della disabilità a quei tempi era molto più artigianale e grossolana, se rapportata a quella attuale; se da un lato risolveva un problema, dall’altro poteva provocare dolore e disagio fisico e psicologico. Questo episodio la portò a dipingere un altro dei suoi quadri più noti, “La colonna spezzata”.

Dal 1951, iniziò ad usare la sedia a rotelle. E dal 1944, iniziò a scrivere un diario personale, che terrà fino alla morte, una sorta di monologo interiore scandito da immagini e parole. Per molte immagini il punto di partenza era una macchia di inchiostro o una linea, come se usasse la tecnica dell’automatismo per verificare le sue nevrosi.

Qualche anno prima di morire, le venne amputata la gamba destra, ormai in cancrena, e ancora giovanissima a 47 anni, morì per embolia polmonare. Le ultime parole che scrisse nel diario, furono: “Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più”.

La sua arte fu caratterizzata dal rapporto ossessivo con il suo corpo martoriato, un corpo obbligato per anni all’immobilità. Rispetto ad altri personaggi famosi e disabili, per i quali si tende a sottolineare ed enfatizzare la loro condizione quasi come fossero eroi, nascondendone il lato oscuro, Frida invece dissimula il suo dolore nelle opere artistiche che produce.

L’arte fu per lei una motivazione per esistere, e in questo senso e grazie a ciò, forse le sue pene ne risultarono parzialmente alleviate. L’evento traumatico dell’incidente, tuttavia, ritornerà spesso nei suoi dipinti colorati. Il disagio del dolore, non spense mai in lei il senso del vivere l’istante, del vivere il “qui ed ora”. Insomma, la voglia di vivere… aspetto che l’ha resa ancora più apprezzabile anche dal punto di vista puramente umano, oltre che artistico.

Rivisto da Conoscenzealconfine.it

Fonte: https://www.contactsrl.it/frida-kahlo-usala/

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