Fake News, Disinformazione e il “Nuovo Ministero della Veritá”

di Federico Nicola Pecchini

Sono tempi difficili per la Veritá. Offesa, derisa e bistrattata da ogni parte sembra ormai irriconoscibile. Non è un caso che molti sociologi si siano affrettati a designare quella in corso come l’ “Era della post-veritá”.

Già a partire dal secolo scorso, le élite intellettuali d’occidente si sono cimentate in una vera e propria demolizione controllata della verità. Heisenberg, con il principio di indeterminazione, e prima ancora Einstein, con la teoria della relatività, ne avevano ribaltato le fondamenta ontologiche. Nel dopoguerra è stato il turno di decostruzionismo, postmodernismo e relativismo, correnti che hanno contribuito a minarne le basi epistemologiche. Il risultato oggi è un nichilismo dilagante.

La verità (e quindi i valori) non esistono più. Esistono solo interpretazioni, punti di vista. E nessuno di essi può considerarsi privilegiato o migliore degli altri. Siamo perciò costretti alla dittatura dell’opinione, dove l’unica cosa che conta è l’opinione della maggioranza. Non era forse questo il senso della democrazia? Ma in fondo la questione è molto più antica. Mi torna in mente Ponzio Pilato: “Che cos’è la veritá?” – aveva chiesto a Gesú il governatore, con una punta di sarcasmo, prima di rivolgersi alla folla inferocita.

Senza impantanarci nel magma filosofico, torniamo ad oggi. Quello a cui stiamo assistendo, a livello globale, non è niente meno che un crollo della fiducia nelle istituzioni. Secondo uno studio del 2017 condotto da Edelman, la credibilitá di governi, media, business e ONG è in caduta libera. In tre quarti del mondo, i cittadini non credono più ai propri governi. Negli Stati Uniti, la perdita di fiducia dopo la morte di Kennedy è stata drammatica, e tocca ormai l’80% della popolazione.

“Il sistema si è inceppato”, ha concluso Edelman, mostrando come in diciannove paesi dei ventotto testati, la maggioranza della gente ritenga che il “sistema” non funzioni più nel suo complesso. In altre parole, la crescente sfiducia nelle istituzioni, esacerbata dalla crisi economica, si è tramutata in un senso di scetticismo generale.

In Italia la situazione non è diversa. Per il rapporto Censis 2019, la parola chiave che riassume l’umore del Belpaese è “incertezza”. Per Demos, la fiducia degli italiani nei confronti dello stato si attesta al 22%, verso le banche al 19%, verso i partiti addirittura al 9%. Secondo Eurispes 2020, meno del 15% dei cittadini ha fiducia nel sistema istituzionale del nostro paese. Sono dati che devono far riflettere.

Cresce la diffidenza anche nei confronti della scienza. Uno studio americano del 2017 ha trovato che solo il 35% degli intervistati aveva “molta fiducia” negli scienziati, mentre il numero di quelli che non ne aveva affatto era raddoppiato dal 2013 e rappresentava ormai il 10% della popolazione. Un trend preoccupante che ha spinto Tom Nichols, ricercatore dell’Universitá di Harvard, a pubblicare un libro intitolato “La conoscenza e i suoi nemici. L’era dell’incompetenza e i rischi per la democrazia” (Luiss, 2018). Facendosi portavoce del sentimento di molti colleghi e dell’establishment accademico in generale, Nichols ha denunciato come irresponsabile la deriva populista ed anti-intellettuale che discredita “gli esperti” a favore dell’uomo comune. Tra le cause principali individua proprio l’ascesa di internet e dei social network, colpevoli a suo parere, di promuovere una sorta di egualitarismo narcisistico e disinformato, dove ogni opinione ha lo stesso valore.

Se pure “gli esperti” non hanno tutti i torti, scaricare ogni responsabilitá sulla stupiditá della gente è ugualmente irresponsabile. Una ricerca del 2005, aveva trovato che la maggior parte dei risultati pubblicati su riviste scientifiche si sono poi rivelati falsi. Nel 2009 la ricercatrice di Harvard Dr. Marcia Angell, ex-editrice del prestigioso New England Journal of Medicine, aveva dichiarato che “non è più possibile credere alla maggior parte degli studi clinici pubblicati, o fidarsi del giudizio di medici famosi e delle direttive mediche piú autorevoli”. Nel 2015, niente meno che l’editore capo della rivista medica piú famosa al mondo, The Lancet, aveva rincarato la dose: “Il caso contro la scienza è semplice: gran parte della letteratura scientifica, forse persino la metà, potrebbe essere semplicemente falsa“. Infine, un articolo del 2017 pubblicato sul British Medical Journal, ha dimostrato come la maggior parte delle più importanti riviste biomediche ricevano ingenti finanziamenti dalle case farmaceutiche, in alcuni casi di centinaia di migliaia di dollari l’anno.

Non è quindi casuale che un crescente numero di persone in tutto il mondo diffidino della parola degli esperti, e preferiscano piuttosto affidarsi a soluzioni fai-da-te, sia nel caso della medicina sia più in generale per quanto riguarda l’accesso alle informazioni. È indubbio infatti che l’impatto sociale e politico del cosiddetto “quinto potere” — quello che comprende blogosfera, informazione alternativa e social media — sia uno dei tratti piú caratteristici e rilevanti, nel bene e nel male, di questo primo scorcio di ventunesimo secolo.

Fake News

È in questo contesto che, durante le presidenziali USA del 2016, è esploso il fenomeno delle fake news. I candidati erano il repubblicano Donald Trump e la democratica Hillary Clinton. Trump condusse una campagna dai toni marcatamente populisti ed anti-establishment. I media tradizionali si schierarono apertamente contro Trump, tacciandolo di fascismo e misoginia. Ma una serie di rivelazioni, specialmente quelle pubblicate da Wikileaks sulle irregolaritá commesse dal DNC (Comitato Nazionale Democratico), fecero pendere l’ago della bilancia a favore del controverso candidato repubblicano.

Dopo la sconfitta elettorale, Hillary Clinton e i Democratici lanciarono un feroce attacco contro l’informazione alternativa, colpevole a dir loro di propagare notizie false che avrebbero favorito Trump e, fatto ancor piú grave, di essere sostanzialmente strumenti della propaganda russa.

I media americani diedero ampio risalto alle accuse, scatenando una vera e propria caccia alle streghe contro l’informazione alternativa. Nel 2017, l’FBI aprí un’inchiesta ufficiale sulle presunte collusioni di Trump con la Russia, mirando all’impeachment del presidente eletto. Dopo due anni di indagini e di continui colpi di scena, il “Russiagate” si è peró rivelato un buco dell’acqua. Si è scoperto che i Democratici avevano segretamente finanziato la stesura del “dossier Steele”, uno dei principali capi d’accusa contro Trump, redatto dall’ex agente segreto del MI6, Christopher Steele.

Il risultato di tutto questo è che la gente non sa piú a chi credere. La vittima principale è proprio la veritá, coperta da un’impenetrabile nebbia di menzogne e di isteria collettiva.

Disinformazione

È ormai cosa nota come i governi occidentali abbiano avviato da anni un programma globale di sorveglianza di massa senza restrizioni. Questo vuol dire che agenzie governative come l’NSA hanno oggi libero accesso ai dati telefonici, satellitari ed internet di intere popolazioni. Il programma era rimasto segreto fino al 2013, quando Edward Snowden, un impiegato della CIA, divulgò al mondo migliaia di documenti riservati che mostravano l’enorme mole di dati raccolti dal sistema PRISM.

Ma le rivelazioni di Snowden non si limitavano al programma di sorveglianza. Glenn Greenwald, uno dei giornalisti a cui furono affidati i documenti segreti, ha pubblicato una serie di articoli dove risulta come i servizi d’intelligence occidentali siano attivamente impegnati nell’infiltrare e manipolare le conversazioni online, attraverso tattiche che vanno dal propagare menzogne create ad hoc, fino al distruggere la reputazione di individui indesiderabili, spesso semplici attivisti politici senza alcun precedente penale, che in teoria sarebbero protetti dal Primo Emendamento (che garantisce la libertà di parola e di stampa).

La disinformazione di stato, cioè la pratica di infiltrare gruppi dissidenti e diffondere informazioni false al fine di screditarli, manipolando così l’opinione pubblica, è stata per lungo tempo fonte di dibattito. Nel 2008, Cass Sunstein — professore di giurisprudenza ad Harvard e direttore dell’Ufficio Informazioni ed Attivitá Normative sotto la presidenza Obama — pubblicò un controverso articolo intitolato “Teorie del Complotto”, dove si evidenziavano i rischi derivanti dal diffondersi di teorie in aperta contraddizione con la narrativa ufficiale, e si proponevano strategie per arginarle.

L’idea di Sunstein è che il governo debba intraprendere un’infiltrazione cognitiva dei gruppi estremisti, nelle chat room, nei social network e perfino tra gruppi di persone in carne e ossa, con l’obiettivo di ostacolare la propagazione delle teorie complottistiche, sollevando dubbi sulle loro premesse fattuali, la loro logica causale o le loro implicazioni politiche”. È bene sottolineare come Sunstein si riferisca a tutti coloro che promuovono teorie per cui il governo americano è responsabile o complice degli attentati alle Torri Gemelle come “gruppi estremisti”.

Grazie ai documenti diffusi da Snowden, abbiamo oggi le prove di come almeno un governo occidentale (quello inglese) abbia davvero messo in atto queste tecniche di disinformazione. Sembra dunque che tali tecniche non si siano rivelate particolarmente efficaci nel combattere il complottismo. Riguardo all’11 Settembre, ad esempio, uno studio del 2016 ha trovato che la maggioranza degli americani (54.3%) è convinto che il governo stia nascondendo la veritá. Quasi il 50% crede lo stesso sul caso Kennedy, il 42% sul riscaldamento globale, il 30% sull’origine dell’AIDS, il 24% sull’allunaggio. Ma il complottismo è un fenomeno globale, sebbene piú diffuso nei paesi ricchi. Uno studio condotto nel 2018 ha rilevato che l’Europa è il continente piú scettico riguardo ai vaccini, con solo il 65% della popolazione che li ritiene sicuri. Un terzo dei francesi è dichiaratamente no-vax. In Italia la percentuale si assesta attorno al 24%, mentre il 21% crede al complotto delle scie chimiche. “A mali estremi, estremi rimedi”, come si suol dire. Ed è così che i governi di casa nostra hanno pensato bene di aggiornare il loro gioco.

Il Nuovo Ministero della Verità

“La verità sta perdendo”, ha ammesso Richard Stengel in un’intervista al Washington Post. Stengel è sottosegretario al Dipartimento di Stato per la Diplomazia Pubblica, il braccio principale della propaganda americana sin dai tempi di Reagan e la sua dottrina di “gestione della percezione”.

Si tratta di un chiaro esempio di doublespeak, o linguaggio politichese doppiogiochista. Per Stengel e colleghi, “la verità” è semplicemente ciò che serve agli interessi di USA, NATO e delle altre potenze occidentali. Con la scusa di combattere le “fake news”, scrive il reporter investigativo Robert Parry, la burocrazia e i mass media americani hanno dichiarato guerra a qualunque giornalista osi esprimere dissenso o scetticismo riguardo la narrativa ufficiale, non importa quanto le critiche siano effettivamente basate sui fatti.

Sappiamo che da lungo tempo il governo statunitense, attraverso l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAIID), stanzia decine di milioni di dollari l’anno per finanziare il lavoro di giornalisti leali all’establishment. Con l’aiuto di George Soros, USAIID ha finanziato il progetto OCCRP, che si occupa di screditare i regimi ostili agli Stati Uniti prima e durante le cosiddette rivoluzioni colorate.

Ma tutto ció non bastava piú. Nel dicembre 2016, il Congresso USA approvó ulteriori 160 milioni per combattere la propaganda russa. Il Washington Post, basandosi sulla soffiata di un gruppo anonimo, pubblicó una lista nera con 200 tra i maggiori siti di informazione alternativa al mondo, additandoli come complici di tale propaganda. Il New York Times, cavalcando la nuova ondata di isteria maccartista, scrisse un editoriale dove sosteneva la necessitá di censurare il web, cioè di marginalizzare o far scomparire del tutto ogni sito dissidente.

L’obiettivo finale di questa campagna era la creazione di un vero e proprio “Ministero dell Veritá”, gestito non direttamente dal governo (sarebbe sconveniente), ma dalle stesse società private di media e comunicazione. Il gruppo esiste già, e si chiama “First Draft Coalition”.

Molti media alternativi sostengono che l’epurazione sia già cominciata. Con la scusa di combattere “fake news” e “hate speech”, le principali piattaforme social come Youtube, Facebook e Twitter hanno iniziato a cancellare, senza dare alcun preavviso o spiegazione, gli account di una lunga serie di attivisti ed organizzazioni che guarda caso criticavano la narrativa ufficiale. Come spiega Matt Agorist del Free Thought Project, “la nuova censura sembra andare contro a chiunque provi a sfidare l’establishment. Dissentire con lo status quo è il nuovo hate speech.”

Per i poteri forti, controllare la narrativa online è diventata una questione di vita o di morte. E per alcuni “questo è solo l’inizio”. Anche l’Unione Europea si è prontamente unita nella guerra contro l’informazione dissidente. Due anni fa il parlamento tedesco ha approvato una legge, chiamata Network Enforcement Act, che obbliga le compagnie di comunicazione a censurare il dibattito online, per conto del governo. ” Per molti, il rischio principale è quello di una mancanza di imparzialità da parte degli organi di vigilanza. Sul finire del 2018, ad esempio, il vice-presidente del parlamento europeo Valcárcel Siso ha ammesso che la campagna contro le “fake news” era in realtà volta a difendere l’integrità dell’Unione a fronte degli “attacchi lanciati da populisti e nazionalisti”.

Tra i più colpiti dalle purghe social ci sono in effetti parecchi gruppi di destra, ma ugualmente attaccati sono stati i gruppi di sinistra radicale. “Si tratta di censura politica della peggior specie” ha commentato Robert Epstein, ex-editore capo di Psychology Today. “È solo una scusa per sopprimere certi orientamenti politici” giudicati scomodi dalle autorità.

Anche chi esprime critiche al sistema finanziario globale, come Luke Rudkowski di We Are Change, è stato purgato. Recentemente, la Psicopolizia di internet ha cancellato post e sospeso profili appartenenti ad istituzioni governative, media, e perfino semplici influencer di nazioni ostili all’impero americano, come l’Iran, la Siria, la Bolivia e il Venezuela. Twitter ha addirittura sospeso l’account a due presidenti in carica, Assad e Khamenei. Dopo l’assassinio di Soleimani, Instagram ha rimosso qualsiasi contenuto che esprimesse sostegno all’ex-generale iraniano, citando come giustificazione proprio le sanzioni imposte dagli Stati Uniti.

Ma il nuovo Ministero della Veritá non intende certo fermarsi alla politica. Nel 2019, dopo un’epidemia di morbillo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato la “titubanza sui vaccini”, cioè la riluttanza o il rifiuto a vaccinarsi nonostante la disponibilitá di vaccini, come uno dei maggiori pericoli per la salute globale. Nonostante la percentuale di morti per malattie infettive, specialmente nei paesi sviluppati, sia praticamente irrilevante, molti paesi occidentali hanno deciso di imporre od estendere l’obbligo vaccinale a tutti i cittadini. Alcuni governi stanno perfino valutando multe salatissime per i genitori disobbedienti. Vista la bassa mortalitá di malattie come il morbillo (nei paesi sviluppati si aggira attorno allo 0.1% – 0.2%) diversi genitori hanno ostinatamente espresso il loro dissenso. Ecco allora intervenire la censura, con Facebook e Google impegnati a estirpare ogni dubbio dalle loro piattaforme.

Non poteva ovviamente mancare Greta. Eletta dal Time “Persona dell’Anno 2019″, è ora candidata (per la seconda volta) al Nobel per la Pace. I potenti della terra sembrano avere un debole per lei. Grazie alla giovane attivista svedese, il famigerato “Cambiamento Climatico” è infine sulla bocca di tutti. Da qualche anno, le maggiori istituzioni internazionali suonano l’allarme con toni sempre più apocalittici: per le Nazioni Unite, rappresenta “la piú grande minaccia alla salute umana della storia”, “la maggiore minaccia per la sicurezza globale”.

Al di là dei risvolti socio-economici, la questione climatica è a tutti gli effetti una questione scientifica, e per di più assai complessa. La teoria più accreditata, quella del riscaldamento globale dovuto alle emissioni di gas serra, non è ancora universalmente accettata (nonostante le forti pressioni per stigmatizzare o minimizzare ogni voce contraria). Tra le fila dei “negazionisti” — cosí viene chiamato chi osa sollevare qualche dubbio — non vi sono soltanto turbocapitalisti senza scrupolo al soldo delle lobby petrolifere, ma anche eminenti ecologisti, preoccupati che l’isteria climatica ci distolga dall’affrontare i problemi sistemici.

Anche in questo caso, però, i toni del dibattito si fanno sempre più simili a quelli della Santa Inquisizione. Eppure la libertà di esprimere posizioni contrarie al consenso generale è la chiave di un sano dibattito scientifico, e in fin dei conti tale libertà è proprio ciò che differenzia la scienza da qualsiasi religione rivelata. Appellarsi alla censura è la cosa più anti-scientifica che si possa immaginare, e tali proposte non possono che far rivoltare Galileo Galilei nella sua tomba.

Soffermiamoci infine sul caso dell’anno, il vero tormentone di queste prime settimane del 2020: l’epidemia da Coronavirus. Parallele al virus, e forse ancora più contagiose, si sono diffuse online le teorie del complotto. Si va dalle armi batteriologiche create nei laboratori cinesi, alle mire depopolazioniste di Bill Gates, dai numeri gonfiati di vittime, alle terapie a base di candeggina. Dopo qualche giorno, su indicazione dell’OMS, i social network hanno deciso di cancellare ogni contenuto non conforme alla narrativa ufficiale.

Insomma, la questione è molto delicata. La presenza di fake news è un motivo sufficiente per lasciare carta bianca alla censura? E soprattutto, chi controlla i controllori? Come facciamo a fidarci dei nostri governi che, come ormai sappiamo tutti, ci hanno mentito e ancora oggi ci mentono spudoratamente? Come fidarsi d’altronde dei mass media o delle societá Big Tech, tutte in mano a pochi oligarchi con le mani in pasta?

Se vogliamo ripristinare la credibilità dell’informazione e del dibattito pubblico, la soluzione non può e non deve essere una deriva totalitaria verso la censura. Il rischio c’è ed è oggi più alto che mai, specialmente a causa dell’immenso potere gestito da un manipolo di tecnocrati della Silicon Valley fuori da ogni controllo democratico. Bisogna stare all’erta, e non lasciare che con la scusa di qualche emergenza fabbricata ad hoc il potere ci tolga anche quei pochi diritti che ci rimangono, quelli che i nostri padri costituenti, in Italia come in America, ci avevano lasciato a costo di enormi sacrifici: la libertà di pensiero, di parola e di stampa.

L’antidoto alle menzogne dilaganti sta piuttosto nell’educazione al pensiero critico, ad un sano scetticismo, nel proteggere un giornalismo davvero indipendente. Sta nell’implementare misure di trasparenza e rendicontabilità per i politici e per i media. Nel delegittimare la guerra propagandistica condotta dai servizi segreti. Nel democratizzare i social network e creare meccanismi di feedback più efficaci. Non svendiamo la nostra libertà per una finta sicurezza. Ne va del nostro futuro.

Articolo di Federico Nicola Pecchini

Rivisto da Conoscenzealconfine.it

Fonte: https://luogocomune.net

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *