È finita l’era Morales in Bolivia

di Lorenzo De Min

Nel pomeriggio del 10 novembre, dopo tre settimane di proteste da parte delle opposizioni contro dei presunti brogli elettorali, il presidente del Bolivia Evo Morales è stato costretto a dare le dimissioni.

Ma il partito socialista boliviano denuncia il golpe contro il suo governo, e incassa la solidarietà del bolivarista Maduro e del peronista Alberto Fernandez.

Dopo le polemiche successive all’insediamento di Evo Morales alla presidenza, dopo la vittoria alle elezioni dello scorso 12 ottobre, che hanno portato l’opposizione interna sul piede di guerra, nonché le proteste di diverse comunità boliviane sparse per il mondo, la Bolivia è precipitata nel caos più totale costringendo lo stesso Evo Morales alla dimissioni forzate dopo 3 settimane di violente proteste nel paese.

In un clima da vera e propria guerra civile, lo stesso esercito ha preso posizioni avverse all’oramai ex presidente della Bolivia, che ha rassegnato le dimissioni nella giornata del 10 novembre attorno alle diciassette. Nemmeno le stesse intenzioni di Morales di indire nuove elezioni sono servite a fare in modo che le proteste cessassero, proteste che peraltro dallo scorso 23 ottobre sono sfociate in un’escalation di violenze denunciate dallo stesso Morales come “un vero e proprio golpe”. Alle dimissioni di Morales dalla carica di Presidente della Repubblica si aggiungono quelle di Victor Borda, presidente della Camera bassa del Parlamento, e dei ministri Luis Alberto Sanchez e Cesar Navarro, rispettivamente agli idrocarburi e alle miniere.

Le conseguenze delle dimissioni di Morales non si sono fatte attendere: la capitale La Paz è ora in una situazione di ingenti disordini dove, contrapposti agli oppositori di Morales, vi sono i suoi sostenitori, i quali hanno denunciato pubblicamente un clima di Golpe, come aveva già fatto di per sé lo stesso Morales, il quale, nella decisione di rassegnare le sue dimissioni aveva auspicato un ritorno alla normalità, evitando dunque una guerra civile.

Non sono mancate intimidazioni e violenze denunciate dallo stesso ex presidente contro membri del suo partito, il “Movimento per il Socialismo – Strumento Politico per la Sovranità dei Popoli”, da parte delle fazioni oppositrici. Inoltre, sono da registrare le devastazioni alle abitazioni di elementi di spicco del MAS, da parte dei guarimberos bolivariani, tra le quali, secondo quanto mostrato dall’emittente teleSUR, la casa dello stesso Morales.

Morales, nel denunciare il Golpe in atto ha dichiarato: “Il mio peccato è essere indigeno, antimperialista e di sinistra”. Ma nonostante il clima di violenze che imperversa tuttora in Bolivia, ha deciso di non lasciare il paese, al contrario di quanto ipotizzato precedentemente da talune fonti giornalistiche. Così come non sembra sia stato emesso alcun mandato di arresto nei suoi confronti da parte delle forze di polizia, come era stato invece confermato dall’opposizione, anche per mano del leader dei comitati civici che si sono opposti alla rielezione di Morales, Luis Fernando Camacho.

Lo stesso capo della polizia generale Yuri Calderon, ha presentato allo stesso tempo le proprie dimissioni da comandante nazionale della polizia della Bolivia, su pressione dei media del paese, che hanno accusato Calderon di essersi schierato con l’ex presidente. Alle dimissioni di Calderon si sono aggiunti gli arresti di 25 membri del Tribunale elettorale, accusati delle presunte irregolarità nel voto di tre settimane fa.

Il golpe in Bolivia è stato condannato dal presidente eletto dell’Argentina, il peronista Alberto Fernandez nonché dallo stesso presidente del Venezuela Nicolas Maduro, i quali ne hanno denunciato le violenze condotte dall’opposizione armata e lo stesso clima di destabilizzazione che hanno portato Morales alle dimissioni forzate. Nel frattempo il Messico, tramite il proprio ministro degli Esteri Marcelo Ebra, ha offerto asilo politico a Morales e a tutto il governo uscente.

Articolo di Lorenzo De Min

Fonte: http://www.opinione-pubblica.com/fine-morales-bolivia-golpe/

SISTEMI DI POTERE
Conversazioni sulle nuove sfide globali
di Noam Chomsky, Barsamian David

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di Noam Chomsky, Barsamian David

In questa serie di colloqui, l'ottantacinquenne linguista e politologo statunitense analizza il mondo contemporaneo e le tensioni che animano, denunciando i "sistemi di potere" - governi, organismi finanziari, multinazionali - che alimentano divisioni nella società allo scopo di assoggettare gli individui.

A finire sotto il suo sguardo chirurgico non è solo il nuovo imperialismo americano, che perpetua persino sotto Obama strategie consolidate, ma anche potere, più recente e oramai forse più invasivo, del capitale finanziario transnazionale, che ha scalzato quello legato all'industria e al commercio.

È il potere delle multinazionali, della BCE e dei fautori dell'austerity, che impoverisce il ceto medio e tiene sotto scacco l'Europa. Sono questi "sistemi" a muovere una nuova guerra di classe contro i lavoratori e la società, una guerra che non può che essere "unilaterale".

Al servizio del potere, oggi come sempre, la macchina della propaganda, che induce nuovi bisogni e crea sottomissione.

"Il potere non si suicida", dice Chomsky, ma alcune forme di democrazia partecipata e di cittadinanza attiva emergono a contrastare la sua forza schiacciante: il movimento Occupy e gli indignados, la gestione operaia delle fabbriche, le rivolte della Primavera araba dimostrano che lottare per migliorare le cose è possibile. A patto di non sedersi davanti alla tv: Chomsky interviene qui, infatti, anche su questioni di politica culturale...

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