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Covid, per “vaccinarsi” potrebbe bastare un Raffreddore!

di Gioia Locati

È stato pubblicato su Science un articolo dedicato all’immunità prodotta da altri coronavirus. Gli autori si sono chiesti come mai quasi la metà delle persone è resistente al Sars-CoV-2 senza essersi mai infettata.

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In sintesi, si ipotizza che chi abbia contratto un raffreddore da coronavirus (dal 15 al 20% di tutti i raffreddori) possieda un’immunità cellulare, più duratura (si stima sia di 11 anni) di quella mediata dagli anticorpi specifici che resistono 2 o 3 anni. 

Il ruolo dell‘immunità crociata con altri coronavirus era stato approfondito nel 2004, dopo l’epidemia di SARS. Nei mesi scorsi, sono stati analizzati i linfociti di pazienti che hanno sviluppato i sintomi del Sars-Cov-2 in maniera moderata e grave (Braun, Grifoni, Le Bert 2020). In questi pazienti sono stati individuati antigeni comuni ai coronavirus umani e non quelli specifici del Sars-Cov-2.

Ci spiega in dettaglio l’epidemiologo Stefano Petti: “Gli autori hanno analizzato i linfociti T (cellule responsabili dell’immunità contro i virus) di alcune persone e hanno visto che quelli prodotti contro la proteina spike dei coronavirus umani HKU1, 229E, NL63 e OC43 sono altrettanto efficaci e in alcuni casi addirittura più efficaci contro la proteina spike del SARS-COV-2 (la stessa usata per i vaccini). Questo significa che chi ha avuto un raffreddore da coronavirus, con molta probabilità, è immune nei confronti del Covid.

Il fenomeno è detto “reattività crociata”.“Con il susseguirsi di episodi di infezione dovuti agli stessi virus, i linfociti T – che intervengono tra l’altro nell’immunità contro virus e tumori – aumentano la cosiddetta ‘avidità’, diventano cioè attivi sia contro il microrganismo specifico che ha causato l’infezione, sia contro microrganismi simili. Senza avidità il nostro sistema immunitario dovrebbe essere 70 volte più grande (Mason, 1998) e grazie all’avidità possiamo difenderci da microrganismi che non abbiamo mai incontrato in precedenza, purché ‘cugini’ dei microrganismi che incontriamo tutti i giorni e non potremmo viaggiare senza avere costantemente dissenterie e infezioni”.

Continua Petti: Potremmo definire i coronavirus umani e il Sars-Cov-2 ‘cugini’, perché usano lo stesso recettore per infettare le cellule umane e quindi hanno necessariamente antigeni simili contro cui si attiva la nostra immunità. Questa reattività crociata si suppone che sia stata rilevante nel contenere l’epidemia di SARS di quindici anni fa (Hoffmann 2005).

Succede che, al primo contatto con l’antigene, l’organismo produce una risposta immunitaria piuttosto specifica verso il virus; nei contatti successivi aumenta l’avidità, cioè si produce un’immunità che è specifica anche per antigeni simili al primo, ed ecco che dopo tante stimolazioni antigeniche (tanti raffreddori…) la risposta immunitaria contro il coronavirus umano diventa più ‘avida’ contro virus parenti tipo il Sars-Cov-2. È il vantaggio della ‘stimolazione antigenica multipla’. Un qualcosa che non si può ottenere con la vaccinazione, a meno di immaginare una serie… infinita di inoculazioni“.

Che dire? Viva il raffreddore!

Articolo di Gioia Locati

Riferimenti: https://science.sciencemag.org/content/sci/early/2020/08/03/science.abd3871.full.pdf

Fonte: http://blog.ilgiornale.it/locati/2020/09/06/covid-per-vaccinarsi-potrebbe-bastare-un-raffreddore/

MEDICINA PREVENTIVA E VACCINAZIONI
Il tema vaccinazioni, atto consapevole
di Giancarlo Buccheri

Medicina Preventiva e Vaccinazioni

Il tema vaccinazioni, atto consapevole

di Giancarlo Buccheri

Un’autentica medicina preventiva, che tenga conto della realtà spirituale dell’uomo, non può che fondarsi su valori di tal genere: coraggio nel voler conoscere l’ignoto, fiducia negli incontri di destino e consapevolezza della propria dignità umana.

Prefazione

Il tema vaccinazioni è un tema conoscitivo e giuridico, oltre ad essere un atto medico.

Qui si tocca un elemento molto importante, che è quello della corporeità umana.

Come addentrarsi in questo tema rispettando la peculiarità tipicamente umana di essere ognuno un singolo individuo e contemporaneamente un’entità sociale inserita in un contesto preciso e comunicante con altri contesti? Quando si fanno studi in laboratorio le condizioni sono definite da parametri normati. In vivo la situazione cambia.

Si potrebbe riflettere sulla valenza concreta degli studi clinici, che non vuol significare disconoscerne il valore e i risultati ma, di nuovo, contestualizzare.

Questo porterebbe ora lontano; così come molti sarebbero i temi da approfondire, a partire da quello della diffusione delle malattie croniche, di cui il mondo cosiddetto occidentale oggi soffre in modo crescente, in relazione a come si trasformano le malattie acute infettive e contagiose.

Si può però proseguire di un passo accennando a una caratteristica della medicina, che riflette nella sperimentazione e nella qualità dell’indirizzo terapeutico l’impostazione di pensiero e le realizzazioni della società umana in un particolare periodo della civiltà, oggi quella post-materialistica, che necessita di risparmio in ambito economico e delle forze umane e che lavora sui grandi numeri e con provvedimenti tecnici, meccanico-informatici.

Non la si vuole negare opponendosi all’evidenza concreta ma si vorrebbe integrare un apporto fatto di iniziali semi di rinnovamento che portano con sé certo caos, ingenuità, confusione, dilettantismo e anche quanto si può inserire là dove fanno breccia movimenti retrogradi. Non per questo la dignità e la libertà umane devono essere sacrificate per paura.

Perché nasca il nuovo, cioè si prosegua in senso evolutivo il cammino come società umana, il momento di caotizzazione, mantenuto in sani ambiti, è fisiologico. Se il tema oggi è quello dei servizi sociali e di una medicina che garantisca la salute in modo orizzontale, d’altra parte l’allarme di una massificazione delle cure viene da temi oggi attuali quali, per esempio, l’antibiotico resistenza e l’abuso del consumo dei medicinali più in generale.

Le malattie cambiano così come l’uomo evolve. Anche i metodi di cura vanno incontro a innovazioni, legate a questi cambiamenti che si verificano nel tempo. Qualità della salute, manifestazioni di malattia ed indirizzo di terapia sono inoltre caratterizzati dalle condizioni sociali, intendendo con questo soprattutto lo stile di vita; i valori della società in cui si è inseriti; con i provvedimenti e le azioni che ne derivano, oltre che il tenore di vita economico.

Il rispetto della singola individualità, con la sua biografia e il rispetto del contesto sociale, portano a porre singole riflessioni concrete: se una malattia, il morbillo, è cambiata negli anni divenendo più grave per le sue complicanze e spostandosi o allargando la fascia di età, anche per l’intervento vaccinale; se la scarlattina è mutata alleggerendosi nelle manifestazioni cliniche, per l’intervento degli antibiotici e la facilità di diagnosi del batterio che la causa; se il profilo di altre malattie contagiose è cambiato, dovremmo avere la possibilità come medici e come pazienti di poter curare e prevenire secondo un modello (linee guida raccomandate) e contemporaneamente in modo adatto alla situazione contingente.

Chi può rispettare, e vuole liberamente e consapevolmente affrontare l’evenienza di una malattia, osservando tempi adatti di decorso; riposo a letto che prevede la posizione supina; dieta adeguata ad alleggerire il lavoro metabolico; terapie integrate consone, dovrebbe poterlo fare.

Così come chi invece ha necessità di prendere immediatamente un antipiretico o un antibiotico, a seconda della adatta prescrizione; non vuole o non può rispettare tempi di malattia e di convalescenza di una tera pia integrata, ha il diritto alle cure del caso e il dovere di applicare un’azione preventiva, anche vaccinale.

Giancarlo Buccheri

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