di Cristina Rubano
Le realtà virtuali di blog e social network, sostenendo identità multiple, fluide o spesso fittizie, rischiano di creare un paradosso della comunicazione: si può essere in contatto con tutti e in ogni momento, semplicemente “esibendo” il proprio avatar, senza quel coinvolgimento cognitivo-emotivo che una vera relazione fisica comporta.
Questo rischia di alimentare, specie nei più giovani, un analfabetismo emotivo che li allontana non solo dagli altri ma anche da se stessi. Le moderne teorie in psicologia cognitiva, psicoanalisi e psicosomatica riconoscono tutte, pur da varie angolazioni, l’importanza delle emozioni nel sostenere i processi motivazionali e di pensiero, la soddisfazione nelle relazioni e il mantenimento della salute fisica e mentale.
Questa “pubblicizzazione dell’intimità” – che secondo Umberto Galimberti (“L’ospite inquietante”, 2007) avviene, ad esempio, attraverso blog e social network – porta tuttavia con sé un crescente analfabetismo emotivo: attraverso avatar e profili virtuali ci si mostra, ci si presenta, si esibisce un’identità incerta, mutevole e a volte anche fittizia, ma non ci si racconta… né a sé stessi né agli altri.
Si entra cioè in contatto con altri milioni di contatti, perdendo la capacità e la possibilità di implicarsi emozionalmente, di riconoscere e utilizzare le emozioni in se stessi e negli altri come base del pensiero, della motivazione e della relazione ridotta spesso ad un’esibizione di facciata.
“Analfabetismo emotivo” e intelligenza emotiva
Daniel Goleman (1995) ha diffuso il concetto di “intelligenza emotiva”, elaborato nel 1990 da Salovey e Meyer, sottolineando l’importanza di sviluppare la capacità di saper riconoscere le proprie ed altrui emozioni, saperle elaborare e gestire in modo adeguato al contesto, per raggiungere gli obiettivi desiderati e avere sani rapporti interpersonali.
L’intelligenza, infatti, non è solo un fattore cognitivo: leggere le proprie e altrui emozioni riuscendo ad utilizzarle, rappresenta una risorsa fondamentale per darsi degli obiettivi, saper scegliere e risolvere i problemi. Analfabetismo emotivo significa, al contrario, non avere un lessico, un codice espressivo e comunicativo per le emozioni, significa non riconoscerle né in se stessi né in altri.
Analfabetismo emotivo e “Alessitimia”
In psicosomatica, il concetto di analfabetismo emotivo è più propriamente espresso con il costrutto dell’alessitimia, letteralmente l’assenza di parole per le emozioni, associata ad un pensiero estremamente concreto orientato all’esterno, e ad una vita immaginativa e creativa estremamente scarsa. Tale costrutto, assimilabile al concetto di analfabetismo emotivo, consente di rileggere i disagi psicosomatici e psicologici in generale come stati emotivi non elaborati e non riconosciuti, direttamente agiti attraverso il sintomo somatico o il comportamento.
Analfabetismo emotivo e realtà virtuale
La comunicazione che blog e social network consentono, prescindendo dalle responsabilità e le implicazioni di un contatto fisicamente “reale”, possono assumere questo carattere di passaggio all’atto; là dove l’analfabetismo emotivo impedisce di riconoscere ed utilizzare le emozioni, le identità edulcorate e fittizie anonimamente assunte tramite il web, diventano strumento per distrarsi da se stessi e da ciò che di sé non si comprende: i propri vissuti sembrano esibiti e messi in mostra, ma raramente fatti oggetto di discussione e confronto.
L’analfabetismo emotivo si può superare riconoscendo l’emozione come un possibile oggetto di pensiero e di comunicazione con l’altro, la via più faticosa forse, questa, ma la più proficua per esistere realmente e non solo virtualmente.
Articolo di Cristina Rubano
Rivisto da Conoscenzealconfine.itFonte: http://www.crescita-personale.it/gestire-emozioni/1775/analfabetismo-emotivo/2234/a
A completamento di questo bell’articolo andrebbero letti i recenti libri di Manfred Spitzer: “Solitudine digitale” e “Demenza digitale” nonché il sempre attuale “Homo videns” di Giovanni Sartori.