Afghanistan 20 anni dopo: Chi Vince e Chi Perde

di Massimo Mazzucco

La guerra è sempre stato un affare per quelli che producono le armi, e quello dell’Afghanistan è stato l’affare di più lunga durata sul quale questi produttori abbiano potuto mettere le mani da quando esistono gli Stati Uniti.

Gli elicotteri Chinhook si alzano a fatica dall’ambasciata americana di Kabul, carichi di persone che vogliono lasciare di corsa il paese. All’aeroporto della capitale il caos regna sovrano, con i cittadini stranieri che cercano di salire disperatamente sugli ultimi aerei in partenza. E i diplomatici USA che restano indietro si affrettano a bruciare tutti i documenti sensibili in loro possesso, per evitare che finiscano nelle mani dei talebani.

Sono scene che ricordano fin troppo da vicino la fuga degli americani da Saigon nel 1975, ma con una grossa differenza: la guerra del Vietnam era considerata persa già da molto tempo, da parte degli americani, mentre nel caso dell’Afghanistan, il presidente Biden aveva assicurato che l’esercito afghano regolare – quello sostenuto e addestrato dagli stessi americani – sarebbe stato perfettamente in grado di mantenere il controllo del paese.

Invece nell’arco di poche ore l’intera nazione, capitale compresa, è tornata nelle mani di coloro che già la controllavano 20 anni fa. In più, I talebani potranno ora disporre di enormi quantità di armi, mezzi e munizioni che sono state lasciate indietro dalla fuga precipitosa degli americani.

Potrebbe quindi sembrare a tutti gli effetti una clamorosa sconfitta per gli americani, che agli occhi del pubblico mondiale avrebbero “sprecato per niente 20 anni di guerra in Afghanistan, che è costata ai contribuenti americani migliaia di milioni di dollari”. Ed è infatti su questo argomento che si stanno concentrando in queste ore tutte le testate americane, sia conservatrici che liberal. Dalla FOX alla CNN, dalla ABC alla CBS, è tutta una lamentela sul “come abbiamo potuto fallire in modo così clamoroso? Come abbiamo potuto buttare al vento uno sforzo economico di tali proporzioni?”

E di certo, da un punto di vista geopolitico e militare, è stato un fallimento clamoroso. Fallimento preannunciato, peraltro, proprio dai russi, i quali, all’alba dell’invasione americana in Afghanistan nel 2001, dissero loro: “State attenti perché finirete impelagati in una guerra senza fine, dalla quale non potrete mai uscire vincitori”. (I russi ne sapevano qualcosa, visto che avevano vissuto un’esperienza simile nei decenni precedenti, proprio nel tentativo di mettere sotto controllo l’Afghanistan).

Eppure, nonostante questo disastro clamoroso, c’è qualcuno che ha tratto un vantaggio enorme da tutto quello che è successo: è l’industria bellica americana. Quella che costruisce le armi – aerei, bombe e carri armati – e le vende al governo americano per andare a fare le guerre in tutto il mondo.

Mentre infatti i commentatori televisivi lamentano il costo immane di oltre due trilioni di dollari, ovvero duemila miliardi di dollari (1 trillion = 1000 miliardi) come se fossero “soldi gettati al vento”, in realtà questi 2000 miliardi di dollari sono sì usciti dalle tasche dei cittadini americani, ma solo per rientrare nelle tasche di altri americani un pò più ricchi di loro: quelli che le armi le producono.

In altre parole, non sono soldi “sprecati”, ma soldi legalmente prelevati dalle tasche del cittadino medio e semplicemente “ridepositati” con grande eleganza, tramite la guerra, nei conti bancari della grandi corporations come la Lockheed Martin (53 miliardi annui di fatturato), Boeing (33 miliardi) o Northrop Grumman (29 miliardi di dollari di fatturato), solo per citare le più importanti. E poi ci sono tutti i miliardi di dollari pagati nel corso di 20 anni alle compagnie di contractors, “quelli che la guerra la fanno per mestiere”.

Insomma, la guerra è sempre stato un affare per quelli che producono le armi, e quello dell’Afghanistan è stato l’affare di più lunga durata sul quale questi produttori abbiano potuto mettere le mani da quando esistono gli Stati Uniti.

Ora la festa è finita, ma solo temporaneamente: si lasceranno per qualche mese sfogare i politici, che fingeranno di litigare fra loro per attribuirsi la responsabilità di questo “fallimento”, e poi state tranquilli che gli americani riusciranno ad inventarsi presto un’altra guerra da qualche parte. Magari con un altro “false flag” in stile 11 settembre.

Sarà sempre una guerra pagata dal cittadino medio, ovviamente, e fatta sempre nel nome e nella difesa della democrazia e della libertà. Ovviamente. Tanto, l’uomo dalla storia non impara mai nulla.

Articolo di Massimo Mazzucco

Fonte: https://www.luogocomune.net/18-news-internazionali/5836-afghanistan-20-anni-dopo-chi-vince-e-chi-perde

LA CRISI DEL MONDO MODERNO
Nuova Edizione critica - Introduzione di Julius Evola
di René Guénon

La Crisi del Mondo Moderno

Nuova Edizione critica - Introduzione di Julius Evola

di René Guénon

René Guénon, che è stato il principale esponente del "tradizionalismo integrale", con una preparazione senza pari nel campo delle dottrine di sapienza orientali e occidentali, è già una sicura garanzia che l'argomento indicato nel titolo sia trattato ad un livello assai diverso da quello proprio ai fin troppo numerosi scrittori che lo hanno affrontato estemporaneamente.

In esso, la "crisi del mondo moderno" viene anzitutto inquadrata in una vasta prospettiva storica, in relazione a quella "età oscura", fase terminale di un ciclo e conclusione di una lunga concatenazione di cause e di effetti, preconizzata da tempi lontani.

I principali aspetti per i quali lo sviluppo del mondo moderno ha portato a una crisi inevitabile e profonda vengono magistralmente analizzati a uno a uno, non solo nel campo sociale ma anche in quello della concezione generale della vita e della conoscenza.

A tali aspetti viene dato rilievo anche mediante un confronto fra l'Occidente moderno e ciò che fu il mondo tradizionale orientale, ma altresì europeo, e portano a considerazioni su problemi generali, come per esempio, quello dei rapporti fra contemplazione e azione.

Dal tempo in cui il libro fu scritto le sue tesi hanno trovato una conferma precisa e la loro attualità appare senz'altro confermata.

L'introduzione di Julius Evola – esponente, in Italia, di una linea di pensiero parallela a quella del Guénon – offre utili punti di riferimento per un inquadramento adeguato delle prospettive generali e della problematica esposte nel libro.

Le novità della nuova edizione:

  • Le tre introduzioni di Evola alle tre precedenti edizioni
  • Una lettera inedita di Guénon a Evola sulla Crisi
  • Un'Appendice con tre saggi di Andrea Scarabelli, Giovanni Sessa e Alberto Ventura
...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *